Author: Francesco Miraglia

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Cuore spezzato: la battaglia legale di una giovane mamma di etnia sinti contro l’ingiustizia

Denunciati gli assistenti sociali e l’intero collegio dei Giudici minorili di Roma

In una tranquilla periferia di Roma, dove le strade si intrecciano come i destini di chi le percorre, si è consumato un dramma che racchiude in sé le sfumature di un’ingiustizia tanto sottile quanto profonda. Al centro di questa storia c’è una giovane mamma sinti, una ragazza di appena 13 anni che ha visto il suo mondo capovolgersi in un istante, strappata alla gioia ineffabile di tenere tra le braccia la sua neonata.
Il preludio a questa vicenda ha i contorni di un inganno: una convocazione ai servizi sociali con la promessa di una casa popolare, una speranza che si è trasformata in un incubo. La realtà era ben diversa, e quello che doveva essere un sostegno si è rivelato un tranello che ha portato alla separazione forzata tra una madre e sua figlia, un dolore incommensurabile che nessuna parola può pienamente descrivere.
Le accuse mosse contro assistenti sociali, operatori sanitari, il sindaco e persino giudici del Tribunale per i minorenni di Roma sono gravi: abuso d’ufficio, lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia. Accuse che, se confermate, disegnano un quadro di violazioni legali e morali difficili da comprendere e accettare.
Ma al di là delle accuse, delle procedure legali e delle battaglie in tribunale, c’è una verità semplice e devastante: una famiglia è stata spezzata. Una giovane mamma, nonostante la sua età, aveva scelto di accogliere con amore sua figlia, supportata dalla propria famiglia, pronta a crescerla secondo le proprie tradizioni, in un ambiente di affetto e protezione.
La rapidità con cui è stata dichiarata l’adottabilità della neonata solleva interrogativi profondi sulla giustizia e sull’equità del nostro sistema. Il diritto di una madre di crescere il proprio figlio, il desiderio di una famiglia di rimanere unita, il rispetto per le tradizioni e l’identità etnica: valori che sembrano essere stati trascurati o, peggio, calpestati.
In questa storia, la giovane mamma sinti rappresenta non solo se stessa ma tutte quelle voci che troppo spesso restano inascoltate, quelle storie che non trovano spazio nei titoli dei giornali o nelle agende politiche. La sua lotta è la lotta di chi si trova a fronteggiare pregiudizi radicati, di chi cerca giustizia in un sistema che a volte sembra dimenticare i più vulnerabili.
Mentre la battaglia legale continua, resta il dolore di una famiglia divisa, la lotta di una madre per riabbracciare sua figlia. In questa vicenda, il cuore di una giovane ragazza batte forte, un cuore spezzato ma non sconfitto, che ci ricorda l’importanza dell’amore, della giustizia e della speranza.
In questa storia, come in molte altre, la vera questione al centro è l’umanità: la nostra capacità di ascoltare, di comprendere, di empatizzare. È un richiamo a guardare oltre le etichette, a riconoscere l’individuo dietro la statistica, a ricordarci che, al di là di ogni differenza, ciò che ci unisce è molto più profondo di ciò che ci divide.
La storia di questa giovane mamma e della sua bambina non è solo una cronaca di ingiustizie; è un monito, un appello a riflettere su come trattiamo gli altri, su come proteggiamo i più deboli, su come costruiamo un mondo in cui ogni bambino possa crescere amato e ogni madre possa vivere senza il terrore di vedersi strappare il proprio figlio. Un mondo in cui la giustizia non sia solo una parola, ma una realtà per tutti. A parte il modo subdolo in cui si sono comportati, è chiaro che avessero tutti fin da subito intenzione di togliere la bimba alla giovane mamma: il Tribunale per i minorenni di Roma ha provveduto infatti in un tempo record (in soli 28 giorni), alla dichiarazione dello stato di adottabilità della neonata, ravvisando un fantomatico “stato di abbandono” che, in realtà, non si è mai verificato giacché sia la neomamma che la sua famiglia hanno sempre espresso il desiderio di tenere la bambina.
«La legge è chiara – dichiara l’avvocato Miraglia, al quale la famiglia si è affidata per ottenere giustizia – e prevede che per i genitori minori di 16 anni il procedimento di accertamento dello stato di abbandono si apra e contestualmente si sospenda fino al compimento del sedicesimo anno Confidiamo sicuramente nell’operato della Procura della Repubblica ci Cassino e in quella di Perugia competente per eventuali reati a carico dei giudici affinché faccia chiarezza ed eventualmente vengano puniti i colpevoli.
In questo caso, invece, la legge è stata palesemente violata e ignorata e non vorremmo che fosse stato fatto solo perché la ragazzina è di etnia sinti. Non si è tenuto in conto né della volontà della ragazzina, né della presenza di una cerchia familiare in grado di occuparsi di lei e della figlioletta e nemmeno del fattore culturale, che potrà pure contrastare con i principi di molti, ma che è radicato e va tenuto in considerazione».

L’Università “Agorà” di Oradea sigla una collaborazione con Francesco Miraglia

L’università Agorà di Oradea e Francesco Miraglia, avvocato del foro di Madrid, hanno recentemente siglato un protocollo di collaborazione, sottolineando l’importanza di questa partnership nel campo del diritto minorile, penale e nella lotta contro la violenza di genere.
Questa collaborazione darà l’opportunità agli studenti dell’Università “Agorà” di partecipare a seminari, corsi e conferenze guidate da Francesco Miraglia, rinomato esperto in diritto minorile e impegnato nella tutela delle vittime di violenza di genere.
La sinergia tra Francesco Miraglia, avvocato del Foro di Madrid e l’Università “Agorà” promette di fornire un importante scambio internazionale di conoscenza e risorse, permettendo agli studenti di accedere a materiale didattico di alta qualità e di apprendere da una delle figure di spicco della giustizia minorile. Questa collaborazione, che durerà 3 anni, non solo migliorerà l’esperienza educativa degli studenti, ma dimostra anche la rilevanza e l’impatto del lavoro e l’impegno di Francesco Miraglia oltre i confini nazionali. Lo stesso Miraglia si è dichiarato soddisfatto ed entusiasta di collaborare con l’Università di Oradea. Questa partnership ci permetterà di offrire agli studenti un’eccellente opportunità di apprendimenti, arricchimento del curriculum con una prospettiva globale e contribuendo alla formazione di futuri professionisti consapevoli e preparati. Lp stesso Miraglia: non posso che essere grato al rettore di Agorà per questa possibilità e non vedo l’ora di avviare questo prezioso scambio di conoscenza.

Considerazioni e riflessioni sull’art. 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazioni

In base all’articolo 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazione italiano (Decreto
Legislativo del 25 luglio 1998, n. 286) il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi
con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore
straniero che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del
familiare del minore che si trovi sul territorio italiano, per un periodo di tempo determinato,
anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge. L’autorizzazione è revocata
quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del
familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I
provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore
per gli adempimenti di rispettiva competenza.
E’ questa una disposizione che nell’ordinamento giuridico italiano trova applicazione in
tutti i casi in cui al genitore del minore straniero, madre o padre, che si trova in Italia viene
revocato il rinnovo o la concessione del permesso di soggiorno per vari motivi e
soprattutto nel caso in cui emergano elementi ostativi al rilascio od al rinnovo di un titolo di
soggiorno: si pensi al genitore che ha subito condanne penali per reati ostativi all’ingresso
o al soggiorno dello straniero in territorio italiano (ess. reati in materia di cessione di
sostanze stupefacenti) o che venga considerato pericoloso per l’ordine pubblico.
In tutti questi casi entrano dunque in conflitto due interessi, entrambi tutelati dalla
Costituzione italiana e cioè da un lato vi è l’interesse alla conservazione dell’ordine
pubblico e della sicurezza dello Stato, dall’altro vi è invece l’interesse alla salvaguardia
dell’unità familiare e del diritto del minore a crescere con i propri genitori naturali,
considerato altresì che il diritto all’unità familiare è regolato e tutelato, nelle sue condizioni
di attuazione, anche dagli artt. 29 e 30 del Decreto Legislativo n° 286/98 e cioè dallo
stesso Testo Unico Immigrazione.
L’art. 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazione italiano è dunque una norma che,
fin dalla sua entrata in vigore, si è posta al centro di un vivace e costante dibattito in
dottrina ed anche in giurisprudenza proprio perchè tale norma cerca di contemperare vari
interessi che, come si è detto, sono parimenti garantiti a livello costituzionale.
Il dibattito interpretativo si è acceso soprattutto intorno al concetto di “gravi motivi”
che possono giustificare la permanenza in territorio italiano del genitore del minore
contemplato dal’art. 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazione: ed infatti tali “gravi
motivi” sono stati interpretati, alternativamente, come il ricorrere di una situazione di
emergenza, a carattere eccezionale o contingente (non rinvenibile nelle ordinarie
necessità di accompagnarne il processo d’integrazione ed il percorso educativo e presente
in caso di problemi di salute del minore) o come il fatto di trovarsi in presenza di minori di
tenerissima età, tenuto conto della grave compromissione e del sicuro danno all’equilibrio
psico – fisico che determina in tale situazione l’allontanamento o la mancanza di uno dei
genitori. Per questa via anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione aveva
inizialmente adottato un orientamento restrittivo riconoscendo detti gravi motivi soltanto in
casi del tutto eccezionali da valutarsi caso per caso (si pensi al minore con problemi di
salute gravi o al minore con problematiche psichiche…), limitando però tale interpretazione
restrittiva ai soli casi di ingresso in Italia del genitore del minore che non ha i requisiti per
ottenere il rilascio di un titolo di soggiorno (in tal senso si erano espresse le Sezioni Unite
della Corte di Cassazione con la Sentenza n° 22216/2006) ed anche taluni Tribunali per i
Minorenni e Corti d’Appello Italiane avevano accolto tale orientamento restrittivo.
Succesivamente però si è sviluppato un orientamento maggiormente estensivo e
favorevole per il minore straniero che si trovi in Italia a salvaguardia del principio dell’unità
familiare costituzionalmente garantito. Così, infatti, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite,
a partire dalla Sentenza n° 21799/2010, ha stabilito che i gravi motivi ricorrono non
necessariamente in casi eccezionali strettamente connessi a problemi di salute del
minore, ma anche laddove siano rinvenibili eventi traumatici che trascendano il normale
disagio dovuto al rimpatrio, considerando sia il potenziale danno attuale che deriverebbe
al minore in seguito all’allontanamento forzato del genitore, sia effettuando una
valutazione prognostica. Tale intrpretazione che potremmo definire “estensiva” del
concetto di gravi motivi, secondo la Corte di Cassazione trova giustificazione nel fatto che
il legislatore, all’atto della formulazione dell’art. 31 comma 3° del Testo Unico
Immigrazione, ha volutamente utilizzato una formula a carattere generale ricomprendente
qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obbiettivamente grave che in
considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio
psico-fisico deriva, o è altamente probabile, deriverà al minore, dall’allontanamento del
familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui e’ cresciuto (in tal senso vi
è anche la recente pronuncia della Corte di Cassazione Civile Sezioni Unite n.
15750/2019).
Alla luce di quanto ora esposto, risulta evidente che l’art. 31 comma 3 del Testo Unico
Immigrazione è uno strumento che in concreto garantisce il rispetto dell’interesse
superiore del minore e la tutela rafforzata dei suoi diritti fondamentali, sia della personalità,
sia socio-economici, riconosciuti a vari livelli normativi, dalle convenzioni internazionali
(Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989), dal diritto
comunitario (Direttiva 2003/86/CE; Trattato di Lisbona, 2009) ed europeo (CEDU, 1950) e,
come si è detto, dalla Carta Costituzionale italiana (artt. 2, 3, 10, 29, 30, 31, 32).
Prima del rilascio al genitore del permesso di soggiorno per assistenza minore ex art.
31 comma 3 del Testo Unico Immigrazione, il Tribunale per i Minorenni, dopo aver ricevuto
la richiesta di detto titolo di soggiorno da parte di un genitore o di entrambi tramite ricorso,
svolge un’indagine approfondita in merito alla capacità genitoriale ed alle caratteristiche
personali e di reddito del genitore stesso.
Tale attività di indagine viene demandata dal Tribunale dei Minori ai Servizi Sociali del
Comune di residenza della famiglia del minore straniero; i Servizi Sociali provvederanno
all’ascolto dei genitori presenti sul territorio nazionale e dei minori capaci di discernimento
(preadolescenti e adolescenti), nonchè alla verifica in merito all’idoneità alloggiativa dei
genitori ed alla loro capacità economica volta anche al mantenimento del figlio minore.
Il Tribunale dei Minori provvede poi ad acquisire, tramite la Questura, le informazioni
sulla pendenza di denunce a carico dei genitori o di altre informazioni utili. Se necessario il
Tribunale dei Minori acquisisce anche informazioni dalle strutture scolastiche frequentate
dai minori e dai Servizi Sociali, nonchè dalle strutture sanitarie dove si trova
eventualmente in cura il minore.
Al termine di questa fase procedurale, in caso di provvedimento positivo del Trbunale
per i Minorenni, la Questura del luogo di residenza dei genitori, rilascerà il predetto titolo di
soggiorno per assistenza minore.
Tale permesso di soggiorno consente al suo titolare, sia esso genitore o parente più
prossimo del bambino, di svolgere attività lavorativa, tuttavia, essendo a tempo
determinato, in prossimità della sua scadenza richiede di essere rinnovato. Il rinnovo potrà
avvenire previa autorizzazione del competente Tribunale dei Minori, mediante la
presentazione di un nuovo ricorso depositato presso la cancelleria di detto Tribunale.
Il permesso di soggiorno ex art. 31 comma 3 Testo Unico Immigrazione è altresì
convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato.