LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

 

Dott. LUPO ERNESTO -PRESIDENTE ­

1. Dott. GRASSI ALDO -CONSIGLIERE ­

2. Dott. SQUASSONI CLAUDIA -CONSIGLIERE ­

3. Dott. GENTILE MARIO -CONSIGLIERE ­

4. Dott. FIALE ALDO -CONSIGLIERE ­ha pronunciato la seguente
 

SENTENZA
 

sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO CORTE D’APPELLO di ROMA
nei confronti di:
1) Sc.Gi. N. IL (…)
2) De. Pa. N. IL (…)
3) Ma.Si.Ca. N. IL (…)
4) Pu.Ma. N. IL (…)
5) De.Si.We.Ke. N. IL (…)
avverso ORDINANZA del 09/05/2007 TRIB. LIBERTA’ di ROMA
sentita la relazione fatta dal Consigliere SQUASSONI CLAUDIA
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli ha applicato la misura cautelare della custodia carceraria, per il reato di violenza sessuale di gruppo, a Sc.Gi., De.Me.Pa., Ma.Si.Ca., Pu.Ma., Lu.Cr., De.Si.We.Ke., avendo come riferimento le investigazioni espletate dalla Polizia e dal Pubblico Ministero. Esse erano costituite dalle dichiarazioni plurime, reiterate e tra loro coincidenti dei genitori dei bambini, che sono state ritenute intrinsecamente credibili ed affidabili perché corroborate da riscontri esterni (tra i quali i più significativi sono le riprese audioregistrate effettuate dai genitori, l’esito della consulenza che aveva concluso come i piccoli avessero una sindrome post-traumatica da abusi sessuali, i certificati medici, la compatibilità dei luoghi ove, secondo i minori, avvenivano le violenze con le abitazioni dei coniugi Sc. e della Pu.).

In base a tali indagini, il Giudice ha ritenuto che le fonti probatorie fossero di tale gravità da sostenere la conclusione che vari alunni dello asilo di Ri., nel corso dell’anno 2005-2006, venivano condotti fuori dalla scuola dalle insegnanti De., Pu., Ma. e dalla bidella Lu.; indi venivano portati, con l’aiuto dello Sc. e di We., nelle case delle maestre ove erano narcotizzati, sottoposti con minacce e violenze, anche crudeli, a pratiche sessuali cruente ed invasive ed erano costretti a partecipare a riti satanici; alcuni atti sessuali, secondo i bambini, avvenivano anche nell’asilo.

In esito a richiesta di riesame degli indagati, il Tribunale della libertà di Roma, con ordinanza 10 maggio 2007, ha rilevato come i piccoli, tramite i genitori, descrivessero, con abbondanza di particolari, fatti atroci addebitabili a persone note; tuttavia, i Giudici hanno ritenuto che il materiale indiziario agli atti fosse insufficiente ed anche contraddittorio, si da non integrare la soglia di gravità richiesta dall’art. 273 C.p.p, per le seguenti ragioni.

A) Le denunce degli abusi sono avvenute con modalità temporali-espositive sicuramente “particolari”, se non “sospette”, dal momento che i genitori si erano più volte riuniti scambiandosi informazioni sul crescendo delle accuse;

B) La consulenza psicologica è stata posta in essere senza le cautele che la Carta di Noto consiglia al fine di assicurare la genuinità delle dichiarazioni dei minori: inoltre, l’esperto nominato dal Pubblico Ministero ha effettuato indagini che non gli competevano, ha usato un metodo non controllabile, non ha considerato che i sintomi di disagio dei minori potevano avere altre cause oltre l’abuso.

C) Non è stato accertato (anche perché mancano indagini sul punto) se fosse possibile che numerosi alunni si allontanassero da scuola con le maestre e la bidella, per un lungo lasso temporale, senza che alcuno si accorgesse della loro assenza e senza che alcuno accudisse ai bambini lasciati in asilo.

D) Non è stata spiegata la circostanza che i genitori, prelevando da scuola i bambini (fino a poco tempo prima sottoposti a sadiche pratiche sessuali che avrebbero dovuto lasciare anche esiti fisici), non si siano accorti di nulla ed anche i pediatri, nelle normali visite di controllo, non abbiano riscontrato esiti di violenza; i bambini non presentavano sintomi nel corso dell’anno scolastico 2005/2006, ma successivamente alla chiusura dello stesso.

E) Le descrizioni, da parte dei minori, delle case nelle quali avvenivano gli abusi sono generiche e non provano che i piccoli siano stati condotti nelle abitazioni degli indagati; il riconoscimento dei giocattoli, per il metodo con cui è avvenuto, non è decisivo.

Per l’annullamento della ordinanza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo difetto di motivazione e sostenendo che gli elementi probatori, se valutati complessivamente, assumono un univoco significato dimostrativo della sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 273 C.p.p. Nei motivi principali ed aggiunti il Pubblico Ministero ricorrente rileva che: -il Tribunale ha trascurato la diversità tra “prova” funzionale alla affermazione di responsabilità ed “indizi” che permettono una misura restrittiva;

-le dichiarazioni dei genitori delle persone offese sono attendibili (in quanto riferiscono fatti e comportamenti direttamente appresi) e non è evidenziabile una reciproca suggestione o “cospirazione dei denuncianti a danno degli indagati”: l’arricchimento dei dettagli nella successione temporale delle denunce discende dallo approfondimento dei racconti dei bambini che, escussi con sempre maggiore attenzione, hanno fornito nuove informazioni;

-la consulenza psicologica, affidata ad una esperta nel settore, è stata condotta con le metodologie e le cautele suggerite dalla Carta di Noto e la videoregistrazione non è stata sempre effettuata per la reazione negativa dei bambini; il sopralluogo presso la scuola e la osservazione esterna delle abitazioni degli indagati, effettuati dalla consulente, erano opportuni per valutare l’attendibilità dei minori;

-i bambini presentano comportamenti sessuali preoccupanti ed atipici per la loro età e segni di sofferenza: solo l’apprezzamento ed il discernimento di quei sintomi da parte dei genitori si colloca dopo la chiusura della scuola: sul punto, manca la valutazione delle dichiarazioni dei sanitari e pediatri;

-sussistono riscontri esterni alle accuse dei dichiaranti quali gli indicatori fisici degli abusi (irritazione dei genitali, l’anite rossa di una piccola ed il setto all’imene di una altra, i residui di benzodiazepine su due minori), l’individuazione dei giocattoli, la videoregistrazione dei colloqui tra genitori e figli.

Hanno presentato memorie il prof. Co., per gli indagati De. e Sc., ed il prof. Ta.; questa ultima memoria non è stata ritenuta ammissibile per il decisivo rilievo, che assorbe ogni ulteriore considerazione, che il prof. Ta. tutela la posizione di De.Ma.Ca. che non è tra le vittime dei reati oggetto della impugnata ordinanza.

La prima censura non trova conforto dalla lettura del testo del provvedimento in esame.

È noto come la nozione di indizio assuma un significato ed un valore diverso a seconda che si faccia riferimento alle prove c.d. logiche o indirette (che, a determinate condizioni, sono sufficienti per affermare la responsabilità di un imputato) ovvero a quegli elementi delle indagini, che non assurgono tecnicamente al rango di prova, ma legittimano una misura cautelare.

In questo secondo caso, è necessario che il quadro indiziario offerto dall’organo della accusa, considerato nel suo complesso, sia connotato dal requisito della gravità consistente nella alta probabilità (non nella certezza richiesta in sede di giudizio per l’affermazione della responsabilità) capace di resistere ad ipotesi alternative, della esistenza del reato e della attribuibilità dello stesso allo indagato.

Pertanto, gli indizi richiesti dall’art. 273 C.p.p, valutati globalmente e collegati tra di loro in modo organico, devono essere idonei a configurare un quadro di elementi probatori (sia pure non definitivo e suscettibile di revisione critica) tale da fare apparire consistente la tesi della accusa.

Non si deve disconoscere la differenza tra il giudizio preordinato alla sentenza di condanna e la delibazione funzionale all’esercizio del potere cautelare; tuttavia, anche in questa ipotesi, necessita che gli elementi a carico dello incolpato conducano ad un giudizio prognostico di qualificata probabilità di colpevolezza, che solo offre la garanzia che le misure restrittive della libertà abbiano carattere eccezionale.

Tanto premesso, si osserva come il Tribunale non abbia fatto una indebita confusione tra indizi e prove e tra la nozione di gravità del compendio istruttorio indispensabile per una declaratoria di responsabilità e quella che permette una misura cautelare personale.

Dei ricordati principi hanno fatto buon uso i Giudici di merito i quali, pur rilevando qualche elemento a carico degli indagati, non hanno ravvisato la necessaria, ragionevole probabilità di colpevolezza a causa, soprattutto, della mancanza di riscontri alle asserzioni delle persone informate sui fatti (questi elementi di controllo, secondo il Tribunale, erano necessari in virtù della qualità degli accusati e della giovanissima età degli accusatori) e della circostanza che alcune emergenze non erano conciliabili con la ipotesi accusatoria.

All’evidenza, la conclusione dei Giudici, immune da vizi logici, è presa allo stato degli atti, cioè, con riferimento al coacervo probatorio da loro conosciuto e conoscibile ed alle investigazioni espletate, al momento della richiesta della misura, che sono suscettibili di ulteriori sviluppi e possono accrescersi con l’apporto di nuove acquisizioni.

Prima di analizzare le residue censure del Ricorrente, si impone una premessa sui limiti del giudizio di legittimità.

Il controllo della Cassazione, in presenza di un eccepito vizio motivazionale, ha un orizzonte circoscritto e va confinato alla verifica della esistenza di un apparato argomentativo non contraddittorio né manifestamente illogico del provvedimento impugnato.

La novazione legislativa, introdotta con la L. 46/2006, permette alla Cassazione di valutare la razionalità e coerenza della motivazione avendo come referente anche gli atti processuali segnalati dal ricorrente; la possibilità di una indagine extratestuale non ha alterato la funzione tipica della Cassazione. La modifica ha attribuito solo alla Corte di legittimità la facoltà di verificare la tenuta logica del provvedimento impugnato, oltre i limiti dello stesso, avendo riguardo agli atti processuali che il ricorrente ritiene arbitrariamente non considerati o male interpretati.

Rimane fermo il divieto per la Cassazione -in presenza di una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria -di una diversa valutazione delle prove, anche se plausibile.

Di conseguenza, non è sufficiente, per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa e più persuasiva di quella operata nel provvedimento impugnato; occorre che le prove, che il ricorrente segnala a sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento svolto dal Giudice sì da rendere illogica o contraddittoria la motivazione (conf. Cassazione sentenze 30402/06, 23781/06, 23528/06, 23524/06, 22256/06, 20245/06, 18955/06, 19584/06).

Nel caso concreto, il Tribunale ha preso in esame tutte le risultanze degli atti, ha avuto cura di indicare le fonti probatorie dalle quali ha attinto il suo convincimento ed ha sorretto le conclusioni con argomentazioni prive di vizi giuridici ed immuni da manifesta illogicità; pertanto l’ordinanza non è sindacabile in questa sede.

In tale contesto, il Ricorrente non segnala alcun atto da qualificarsi decisivo, nel senso precisato, ma propone una rinnovata ponderazione delle emergenze processuali alternativa a quella correttamente effettuata dai Giudici di merito; pertanto, introduce problematiche che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimità.

Inoltre, le censure ora al vaglio della Cassazione erano già state sottoposte alla attenzione del Tribunale e disattese con articolato iter motivazionale del quale il Ricorrente non sempre tiene conto nella redazione delle sue censure che, sotto tale profilo, sono spesso prive della necessaria concretezza perché non in sintonia con le ragioni giustificative del provvedimento impugnato.

L’esposto rilievo di carattere generale può essere integrato con un esame delle censure specifiche rivolte alla ordinanza dal Pubblico Ministero ricorrente.

La particolare difficoltà che il caso pone si incentra nella circostanza che l’accusa è rappresentata dalla voce indiretta delle giovani vittime, che narrano di fatti dei quali non dovrebbero avere esperienza e che non possono essere il frutto della loro personale confabulazione; le parti lese, per la loro età e conseguente limitata capacità cognitiva, non sono in grado di architettare un falso ed elaborato racconto come quello enucleato nei capi di imputazione.

Tuttavia, l’assunto secondo il quale i bambini piccoli non mentono consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre ad un patrimonio conoscitivo deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiaranti attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte; interrogati con domande inducenti, tendono a conformarsi alle aspettative dello interlocutore.

Necessita, quindi, che le dichiarazioni dei bambini siano valutate dai Giudici con la necessaria neutralità ed il dovuto rigore e con l’opportuno aiuto delle scienze che hanno rilievo in materia (pedagogia, psicologia, sessuologia); l’esame critico deve essere particolarmente pregnante in presenza di dichiarazioni de relato.

Tale cautela non è mancata nel caso concreto ove la questione centrale consiste nello stabilire se lo snodarsi dei fatti (così come gli adulti con molteplici e convergenti dichiarazioni sostengono di avere appreso dalle fonti dirette) corrisponda a quanto i bambini hanno realmente vissuto.

Sulla attendibilità dei genitori delle vittime deve farsi una preliminare precisazione che supera ogni equivoco sul punto della loro buona fede.

Né il provvedimento impugnato né le difese degli indagati hanno rilevato che i piccoli siano stati consapevolmente manipolati dai genitori o che sia evidenziabile una loro “cospirazione” (come definita dal solo Pubblico Ministero); è indiscusso che i genitori hanno agito con la intenzione di tutelare al meglio e di proteggere i loro bambini, ed altri bambini, dal pericolo di reati gravissimi che possono determinare danni irreversibili al loro futuro, equilibrato sviluppo.

Altra è la tematica introdotta dai difensori i quali sostengono la tesi di un “contagio dichiarativo”, cioè, di un sofisticato meccanismo psicologico che in teoria può verificarsi, come seri studi nel settore hanno confermato.

In estrema sintesi, tale contagio si configura come uno scambio di informazioni e dati tra individui che porta a modifiche anche radicali nelle convinzioni relative a quanto accaduto e, nella sua forma estrema, determina il formarsi di convincimenti che non corrispondono alla realtà dei fatti.

Il meccanismo potrebbe essere stato innescato dalle domande manipolatorie dei genitori, alle quali i bambini hanno fornito risposte compiacenti, ed essersi incrementato con il passaggio tra gli adulti di conoscenze, aspettative e preoccupazioni.

I Giudici del Tribunale (pur dando atto della possibilità che i parenti abbiano interrogato i bambini in modo improprio ottenendo risposte non genuine) non hanno preso una decisa posizione sul tema, né può prenderla questo Collegio al quale istituzionalmente non spetta il compito di valutare le prove.

In altra sede, la tesi difensiva potrà essere confermata, o squalificata, solo dopo una accurata ricostruzione delle modalità con le quali si sono svolti gli interrogatori dei piccoli e sono veicolate le informazioni tra le famiglie.

Di conseguenza, è apprezzabile la cautela usata dal Tribunale, che non ha espressamente concluso sulla evidenza di un meccanismo di suggestione a catena dei genitori, ma ha rilevato che le loro denunce erano “se non sospette, sicuramente particolari” perché, prima di avvisare l’autorità, si erano più volte riuniti, confrontandosi a vicenda e scambiandosi informazioni, anche alla presenza dei figli.

La possibilità che gli adulti abbiano influito con domande suggestive sulla spontaneità del racconto dei bambini ha avuto conferma almeno in due casi nei quali i Giudici del Tribunale hanno rilevato atteggiamenti prevaricatori (precisamente nelle videoregistrazioni) evidenziando una “forte e tenace pressione dei genitori sui minori” ed “una forte opera di induzione e di suggerimento nelle risposte”.

Per superare questa impostazione, logica e plausibile, il Ricorrente insiste sulla tesi del formale valore di prova documentale delle videoregistrazioni fatte in un momento in cui i piccoli “non avevano ancora sviscerato i dettagli molto cruenti”; in tale modo, sostiene che l’arricchimento dei primi narrati dei bambini possa essere il frutto della capacità di ascolto dei genitori. La impostazione ha una sua ragionevolezza, ma non affronta l’argomento decisivo del metodo usato dai parenti per intervistare i minori e del possibile condizionamento reciproco dei vari dichiaranti.

Queste erano le problematiche, ancorate a precisi dati fattuali, che hanno indotto il Tribunale a rilevare una situazione di “sospetto” ed a ricercare conferme e “seri elementi” che corroborassero l’impianto accusatorio. I Giudici hanno osservato come le emergenze agli atti (in particolare, la consulenza psicologica ed i certificati dei sanitari) non fornissero un valido conforto alle dichiarazioni dei genitori ed, anzi, alcune risultanze fossero incompatibili con il racconto dei bambini.

Ora, è indiscusso che l’indagine sulla situazione dei minori richiedeva specifiche cognizioni tecniche che esulavano dalla scienza privata dello inquirente e dovevano essere affidate ad un esperto (cui competevano attività strumentali allo espletamento dello incarico, ma non investigative in quanto l’accertamento dei fatti è di esclusiva competenza della autorità giudiziaria).

Il Pubblico Ministero ha proceduto ex art. 359 C.p.p (implicitamente, ma discutibilmente ritenendo che la situazione psicologica dei bambini non fosse passibile di mutazione nel tempo) per cui la consulenza effettuata ha valore solo endoprocessuale, salvo l’eventuale utilizzo nei riti speciali o nel giudizio ordinario previo accordo delle parti.

Il Pubblico Ministero non aveva l’obbligo di affidare la consulenza a sensi dell’art. 360 C.p.p o sollecitando un incidente probatorio. Tuttavia, la scelta di optare per la procedura non garantita, unita a quella dello esperto di non videoregistrare i colloqui (a ragione criticata nella ordinanza), ha privato gli indagati della facoltà di controllare, tramite i difensori ed i propri consulenti tecnici, l’operato dello esperto.

La questione, così come focalizzata nel provvedimento impugnato, non si incentra sulla correttezza dei protocolli e del metodo (che è oggetto dei motivi di ricorso), ma sulla verificabilità degli stessi, che non può essere sostituita da una acritica accettazione delle conclusioni del consulente.

In coerenza con questa impostazione, la fondamentale critica, che il Collegio reputa pertinente, formulata dal Tribunale e dai difensori allo elaborato dello esperto, riguarda la “fruibilità” dei risultati in sede processuale in quanto la metodologia usata non è ostensibile alle altre parti processuali.

Inoltre -dando pure per scontato che il parere dello esperto sia esatto -la questione non è risolta in quanto il vero problema consiste nello stabilire se i sintomi (che attualmente i piccoli manifestano e di allarmante gravità come riferito dai genitori) siano indice di validazione degli abusi sessuali.

La ricerca del rapporto eziologico tra i disturbi emotivi dei bambini ed i reati era necessaria in quanto è noto che non esiste una sindrome da stress specificatamente riferibile allo abuso sessuale.

Sul tema, i Giudici non hanno mancato di rilevare come lo stato delle attuali conoscenze in materia non permetta di individuare sicuri nessi di compatibilità tra sintomi di disagio ed eventi traumatici specifici.

Il Tribunale, inoltre, ha ben sottolineato che i sintomi allarmanti dei minori si sono manifestati non durante l’anno scolastico, ma in epoca successiva.

In realtà -e non in armonia con quanto avviene normalmente per il danno post traumatico -gli indicatori, che il Ricorrente collega ad abuso sessuale, sono tardivi e, per alcuni bambini, si sono manifestati dopo le prime denunce. Solo in un secondo momento, i genitori hanno fatto una lettura retroattiva di comportamenti già ritenuti nell’alveo della normalità, mentre alla uscita dalla scuola non hanno, inspiegabilmente, riscontrato nei loro bambini (oggetto fino a poco tempo prima di atrocità di ogni tipo) alcun segnale di sofferenza e di disagio psichico.

In tale situazione, i Giudici hanno concluso come la circostanza che i minori ora presentano sintomi da stress (ed, anzi, che sempre più bambini, oltre alle attuali parti lese, manifestano sintomi) non rappresenti un elemento decisivo da cui dedurre l’abuso sessuale.

Con il rilevare lo scollamento temporale tra fatti e sintomi (che diventano più consistenti con il procedere delle indagini), il Tribunale ha aperto alla possibilità che il malessere dei bambini sia derivato, se non totalmente almeno in parte, dagli effetti della c.d. vittimizzazione secondaria (cioè, dallo stress cui i piccoli sono sottoposti a causa delle reiterate e disturbanti interviste e visite mediche e dallo stato di ansia dei loro genitori che si è riverberato sulla serenità della famiglia ed ha inciso sul senso di sicurezza dei bambini).

La conclusione del Tribunale circa il non certo collegamento tra la situazione dei bambini ed abusi sessuali ha una sua coerenza ed è compatibile con le conoscenze scientifiche in materia; a tale convincimento, il Ricorrente contrappone una sua alternativa interpretazione che, pur dotata di una plausibile opinabilità, non è idonea a rendere illogico o inaccettabile il ragionamento dei Giudici.

Sussiste un altro elemento che, per il Pubblico Ministero, costituisce una conferma dell’esistenza dei reati e, precisamente, la circostanza che i minori manifestano conoscenze ed atteggiamenti erotici non consoni alla loro età anagrafica.

Come già osservato dal Tribunale, alcuni di questi comportamenti rientrano nel novero della comune curiosità o esplorazione dei piccoli nei confronti del loro corpo (e sono manifestazione di una normale sessualità, esistente anche nella loro fase evolutiva); altri comportamenti sono impropri ed atipici e dimostrano una conoscenza in materia incompatibile con l’età infantile.

In questo secondo caso, è lecito concludere che qualche bambino (altri potrebbero avere riprodotto gli atteggiamenti dei compagni per mimesi) ha avuto diretta percezione di atti sessuali (ma ciò potrebbe essere avvenuto anche attraverso filmati o scene in Televisione) o ne è stata vittima.

Ora il Ricorrente segnala nei bambini una attività autoerotica, giochi a sfondo sessuale e la simulazione di un coito, cioè, atteggiamenti che sono un “campanello di allarme” e che, nel contesto processuale in cui sono inseriti, possono fare ragionevolmente ritenere come possibile che i piccoli abbiano avuto esperienze di abuso sessuale.

La lettura fornita dal Pubblico Ministero del comportamento dei bambini potrebbe costituire un sugello del teorema accusatorio solo in presenza della qualificata probabilità che i fatti si siano svolti secondo la ricostruzione storica fissata nel capo di imputazione.

Questa evenienza è stata -e correttamente -messa in discussione nella impugnata ordinanza per i seguenti motivi.

Per il Ricorrente, a corroborare la tesi degli abusi, si pongono riscontri oggettivi quali i certificati medici relativi ai piccoli.

Proprio tali documenti, secondo il parere dei Giudici di merito (congruamente motivato e, pertanto, insindacabile in questa sede), costituiscono un punto debole della accusa.

I genitori hanno riferito che i figli hanno subito violenze fisiche invasive (anche con percosse e introduzione di vibratori o oggetti appuntiti nell’ano e nella vagina con fuoriuscita di sangue); a fronte di tali sevizie, che avrebbero dovuto lasciare evidenti ed immediati esiti fisici da trauma esistono solo due certificati medici, l’uno, attestante un setto all’imene che può essere esistente dalla nascita e, l’altro, una anite rossa che non è necessariamente riferibile ad atti di natura sessuale.

Da tali certificati, il Ricorrente trae argomento a sostegno del suo assunto. Il ragionamento del Pubblico Ministero contiene una petizione di principio perché trasforma l’oggetto da provare in criterio di inferenza: non è possibile da un indizio sicuro in fatto, ma equivoco nella interpretazione concludere per la certezza dell’evento che rappresenta il tema probatorio.

Più in generale, costituisce un ragionamento circolare e non corretto ritenere che i sintomi siano la prova dell’abuso e che l’abuso sia la spiegazione dei sintomi.

È vero che i bambini lamentavano arrossamento ai genitali e due minori presentavano all’esame tricologico residui di un tranquillante, che non veniva loro somministrato, ma questi elementi non sono sufficienti -come fatto presente dal Tribunale -a confortare la tesi che i piccoli fossero abusati o narcotizzati. Il disturbo nelle parti intime è frequente in età infantile (tanto è vero che moltissimi allievi dell’asilo, oltre a quelli che si assumono oggetto di abusi, lo presentavano) ed il test tricologico ha una valenza labile perché effettuato a distanza di molti mesi dai fatti.

Sostiene il Ricorrente che i sintomi sono stati dai genitori riscontrati durante l’anno scolastico, ma solo in un secondo momento sono stati ricondotti agli abusi sessuali; la prospettazione potrebbe essere sostenibile, seppure a stento, per i disturbi psicologici, ma non spiega come i parenti non si siano accorti subito dei segni fisici necessariamente residuati sul corpo dei figli dalle sevizie che i bambini -prima alcuni, poi, molti -lamentano.

Pertanto, si deve concludere con il Tribunale che l’esito degli accertamenti medici non è in armonia con le vere e proprie atrocità fisiche patite dai piccoli secondo il racconto dei genitori; allo stato delle investigazioni, è consentito rilevare che, se vi sono state violenze sessuali (ipotesi non scartata dal Tribunale), esse sono state perpetrate con modalità differenti da quelle riferite nelle denunce.

Per quanto concerne il riconoscimento da parte dei minori dei giocattoli esistenti nelle case delle maestre, le considerazioni dei Giudici del Tribunale sulla non decisività dello elemento probatorio sono condivisibili e logiche; trattasi di oggetti di uso comune abitualmente esistenti nelle case e negli asili per cui il loro riconoscimento pone ampi margini di incertezza e solo gli accertamenti in corso potranno chiarire se sono stati a contatto con le attuali parti lese.

La descrizione fatta dai piccoli e relativa alle abitazioni delle insegnanti è, a parere del Tribunale, generica e dalla stessa non si può desumere con certezza che i bambini siano stati effettivamente ivi condotti in orario scolastico; tale conclusione, in quanto implica un giudizio di fatto ed è sorretta da congrua e completa motivazione, non è censurabile da questa Corte.

Di contro, il Ricorrente insiste sulla certezza del riconoscimento sia delle case degli indagati sia dei giochi e chiede, in sostanza, a questa Corte una, non fattibile, rivalutazione degli elementi probatori ponderati dai Giudici di merito.

Esiste un altro rilevante elemento che, secondo il Tribunale, rende inconsistente l’accusa e non permette di ritenere che i fatti si siano svolti secondo le modalità descritte dal Pubblico Ministero; non è stato accertato se le maestre potessero uscire dallo asilo senza che la loro assenza fosse notata dal personale scolastico ed a chi venivano affidati i piccoli rimasti senza assistenza.

A questo fondamentale, inquietante interrogativo, il Ricorrente non fornisce una spiegazione e non precisa se siano state disposte le investigazioni suggerite dal Tribunale per accertare la compatibilità del narrato dei piccoli con l’andamento scolastico; il Ricorrente si limita a ricordare che “le maestre si organizzavano come volevano” eludendo la problematica inerente alla possibilità che sfuggisse al controllo la sistematica (non sporadica, stante la pluralità degli abusi descritti dai genitori) assenza dalla scuola di insegnanti ed alunni.

Infine, deve rilevarsi come le intercettazioni telefoniche, le perquisizioni nelle abitazioni degli indagati e gli accertamenti effettuati sul loro personal computer hanno dato esito negativo in quanto non è stato rinvenuto alcunché a conforto della accusa.

Per le esposte considerazioni, la Corte ritiene che siano condivisibili le conclusioni del Tribunale circa la inadeguatezza delle investigazioni agli atti a giustificare una misura cautelare personale.

Il ricorso del Pubblico Ministero deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

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