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Sappiamo dov’è Anna Giulia». I coniugi Camparini chiedono di rivedere la figlia, data in adozione anni fa, e di riaprire il procedimento. La psicologa che l’allontanò da loro è implicata nell’inchiesta “Veleno”

REGGIO EMILIA (4 giugno 2019). «Sappiamo dov’è Anna Giulia»: Gilda e Massimiliano Camparini hanno trovato la loro figlia, che non vedono da almeno otto anni, essendo stata data in affidamento a una coppia che risiede in una località che il Tribunale dei Minorenni di Bologna ha tenuto segreta. «Vogliamo rivederla, sapere come sta, se si ricorda di noi e che cosa le abbiano detto per convincerla a sopportare l’adozione e l’allontanamento dai suoi genitori. Ma vogliamo anche che si apra di nuovo il procedimento che ce l’ha vista strappare via: la psicologa che, montando accuse false contro di noi, ha convinto il tribunale a darla in adozione, è implicata nell’inchiesta “Veleno”» dichiarano i Camparini.

L’inchiesta dei giornalisti Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, pubblicata in sette puntate su Repubblica.it, è una docu-serie investigativa, che ricostruisce il caso dei “Diavoli della bassa modenese”: vent’anni fa, in provincia di Modena, sedici bambini tra i Comuni di Massa Finalese e Mirandola furono allontanati per sempre dalle loro famiglie, accusate di far parte di una setta di satanisti pedofili. Accuse dimostratesi infondate e che i bambini di allora, ormai adulti, svelano nata da dichiarazioni loro estorte. C’è chi ci è morto di crepacuore e chi si è suicidato e i bambini non hanno più rivisto le loro famiglie. Dietro a tutto questo un gruppo di persone, sempre lo stesso, che sarà protagonista, dieci anni dopo, dell’incredibile vicenda di Anna Giulia Camparini.

Al centro dell’inchiesta c’è infatti la psicologa Valeria Donati dell’Asl di Modena, successivamente responsabile di una struttura privata di Reggio Emilia, il CAB (Centro Aiuto al Bambino – Cenacolo Francescano), che ospitava bambini sottratti alle famiglie e successivamente dati in affidamento e adozione.

«Alla luce dell’inchiesta giornalistica, che svela inquietanti scenari, chiediamo che venga rivisto l’intero procedimento di Anna Giulia» commenta l’avvocato dei Camparini, Francesco Miraglia, «nato da una serie di errori clamorosi ammessi da tutti, dai Servizi sociali come dal Pubblico ministero, che si era persino opposto al decreto di adottabilità, tranne che dal Tribunale dei minorenni di Bologna».

Nonostante nel corso del procedimento dinnanzi allo stesso Tribunale fosse emerso come tutti i protagonisti di questa rocambolesca vicenda (l’avvocato tutore di Anna Giulia, il procuratore dei nonni materni che avevano osteggiato il rientro della bambina presso i genitori, e i coniugi affidatari) facessero parte di un sodalizio tra operatori nell’ambito reggiano ed emiliano, la cosiddetta Combriccola del Casale.

«E’ finalmente giunto il momento che si faccia chiarezza» prosegue l’avvocato Miraglia «e che questi due genitori possano tornare a riabbracciare la loro figlia, che ormai ha quasi 14 anni». I genitori hanno presentato un esposto ai Tribunali di Milano, Reggio Emilia e Ancona, e ai Tribunali per i minorenni di Milano e Bologna, che a vario titolo sono entrati in questa vicenda.

La vicenda di Anna Giulia Camparini, che l’avvocato Miraglia ha narrato nel libro “Papà portami via da qui!”, inizia da una perquisizione a casa dei genitori avvenuta nel 2007: si cerca della droga che non viene trovata, tutto viene archiviato, ma i Servizi sociali ritengono non idonea la sistemazione della bambina (la casa viene definita indecorosa, senza che, per altro, nessuno vi abbia fatto un sopralluogo), che viene quindi portata al Centro Aiuto al Bambino (gestito dalla psicologa Donati) e dal 2010 affidata a una famiglia sconosciuta. Verrà adottata due anni fa. A niente sono valse le relazioni dei nuovi assistenti sociali e del pubblico ministero: il Tribunale dei minorenni non ha tenuto conto di nulla, se non delle dichiarazioni della psicologa Valeria Donati e del suo team. E una bambina curata e amata è stata strappata dai suoi genitori e affidata a degli estranei.

L’avvocato Francesco Miraglia e i coniugi Camparini saranno ospiti della trasmissione “Chi l’ha visto?”, che sì è occupata più volte di questa discussa vicenda, a illustrare questi nuovi sviluppi, puntata che andrà in onda il 12 giugno.

 

“Ridateci i nostri figli!”

Sit-in di protesta davanti la casa famiglia: dopo dieci anni due genitori rivogliono con sé i loro figli
I bambini hanno chiesto di tornare a casa, ma il Tribunale non si è ancora espresso
 
BIELLA (2 agosto 2017). Maria Dolores e Gerolamo Rotta stamattina sono davanti alla casa famiglia in cui è ospitato uno dei loro figli, in un sit-in di protesta. Chiedono di poter finalmente riavere con sé i due figli minori, dopo dieci anni di allontanamento coatto stabilito dal Tribunale dei minori di Milano, che nel 2007 ha sottratto alla loro custodia i loro quattro bambini, dislocandoli in diverse strutture. Qualche anno fa i due figli maggiori sono scappati e adesso, maggiorenni, vivono con i genitori in Lombardia. I due più piccoli no, sono uno nella casa famiglia piemontese, davanti alla quale i genitori da stamattina protestano. L’altro, invece, il più piccolo, vive presso una famiglia affidataria. Separati, quindi. A marzo, dopo dieci anni, il Tribunale dei minori di Milano li ha finalmente ascoltati: i due ragazzini hanno espresso la volontà di rivedere maggiormente i genitori e di rientrare nella famiglia da cui sanno di provenire, ma di cui ricordano poco o niente. Quando sono stati allontanati dalla casa di Cernusco sul Naviglio, in provincia di Milano, in cui vivevano, non avevano nemmeno 5 e 3 anni. Ed è appunto la casa il motivo principale per il quale sono stati allontanati: i coniugi Rotta hanno “osato” chiedere al Comune un sopralluogo nell’appartamento pubblico che è stato loro assegnato, per la presenza di muffa e amianto. Ma dopo il sopralluogo, gli hanno tolto i figli. “Per “incuria e ipostimolazione” dirà il Tribunale. Ma i coniugi Rotta sostengono che vi sia una quantomeno “strana” coincidenza nel fatto che l’allora sindaco fosse l’amministratore della cooperativa che gestiva quelli alloggi pubblici.
«In Italia dieci anni di carcere non lo danno quasi nemmeno a chi commette un omicidio» sostiene l’avvocato Francesco Miraglia, cui i coniugi Rotta, ormai esasperati e disperati, si sono rivolti per un aiuto. «Che delitto possono avere mai commesso questi ragazzini? O forse è un reato nascere poveri? Non sarebbe stato meglio aiutare la famiglia a gestirli invece di strapparglieli per dieci anni: quanto è costato tutto questo, in termini di sofferenza, soprattutto ai minori, ma anche alle istituzioni, che ne hanno mantenuto l’istituzionalizzazione per un decennio?».
A questi bambini è stato negato di crescere e giocare come fratelli, di svegliarsi la mattina di Natale e di andare ad aprire i regali sotto l’albero tutti insieme. E’ stato negato loro il bacio della buonanotte della mamma. E’ stato persino impedito loro di vedere la nonna malata, sul letto di morte. Se ne è andata senza poter dare loro un ultimo bacio. Persino quando la figlia è stata operata, alla madre non è stato concesso di sederle accanto, nel letto d’ospedale, in un momento delicato in cui avere la mamma accanto per un bambino è davvero importante. Sono ragazzini istituzionalizzati, che nemmeno ricordano come si stava in famiglia, sebbene vogliano molto bene ai genitori e ai fratelli. «Non so chi sono, sono sconosciuto a me stesso, non so nemmeno se sono i miei veri genitori» ha detto uno di loro al Tribunale, che finalmente a marzo di quest’anno (i bambini sono stati allontanati da casa a luglio del 2007) ha disposto di ascoltarli. Ma che ancora non ha emanato alcun provvedimento. Quanto ancora dovranno soffrire?
«Credo sia il caso di disinteresse da parte delle istituzioni peggiore in cui mi sia imbattuto in tanti anni di lavoro» prosegue l’avvocato Miraglia. «Chiederemo un’accelerazione delle pratiche, di riportare a casa questi ragazzini. Ma soprattutto cercheremo di capire chi sia il responsabile di una situazione simile, che ha causato così tanto dolore. Come è stato possibile sentire i minori soltanto dieci anni dopo l’emissione del provvedimento? Certo, i ragazzi in questi anni sono stati curati e seguiti, ma non hanno vissuto come una famiglia e la solitudine, il dolore e la rabbia che si portano dentro, potevano essere evitati. Non è escluso che richiederemo un risarcimento per questo ingiusto allontanamento durato un decennio».
 

La legge non è uguale per tutti – di Francesco Miraglia

“Gran parte dei miei clienti, si sono imbattuti altresì nel mondo della psichiatria, dei servizi sociali e delle cooperative di questo o quel colore. 
Sono stati costretti a constatare che gli ordini professionali dei medici, degli avvocati e dei magistrati e degli assistenti sociali sono di fatto organizzazioni sindacali a difesa dei privilegi e di vantaggi degli stessi professionisti, ben lontani da quelle persone a cui dovrebbero assicurare dignità, rispetto e giustizia.
Nell’affrontare, molte di queste situazioni, ho la sensazione di  sentire sentenze già scritte, teorie accusatorie pre-confezionate di allontanamento dei minori senza un minimo di istruttoria e senza un minimo di senso logico. Molte volte di fronte a queste situazioni, vorrei cancellare, vorrei far sparire, vorrei rubare dalle aule dei Tribunali quella ipocrita scritta la Legge è uguale per tutti.
In data 13 marzo u.s., mi rivolgevo, quale avvocato di due genitori di Trento, all’assistente sociale referente del caso, per chiedere spiegazioni sul fatto che i miei assistiti incontrassero solo una volta al mese la figlia allontanata dagli stessi genitori da più di 5 anni. Senza tralasciare che la struttura ove attualmente è collocata la minore si trovi a più di 400 km di distanza (andata – ritorno).
Di tutta risposta l’assistente sociale rispondeva testualmente: “Lo scrivente servizio ha ricevuto in questi giorni la Sua richiesta per conto dei sig.ri, in merito alle visite della figlia. Le comunico che i tempi – una volta ogni due/tre mesi – sono dettati dall’impossibilità economica dei genitori della minore”.
Successivamente mi rivolgevo al Presidente della Comunità di Val di Non e all’Assessore delle Politiche Sociali per chiedere un appuntamento urgente sull’intera vicenda e soprattutto per l’incredibile risposta dell’assistente sociale, ma a distanza di quasi 15 giorni ancora nulla è stato riscontrato.
A questo punto, in nome e per conto dei miei assistiti sento il bisogno di rivolgermi all’opinione pubblica per sottolineare che tutti i cittadini ricchi o poveri che siano hanno il sacrosanto diritto di essere ascoltati, ricevuti e aiutati dalle istituzioni. Sarebbe davvero grave che le stesse Istituzioni che dovrebbero essere al servizio dei cittadini facessero orecchie da mercante o peggio ancora si rendessero disponibili in base al ceto sociale.
Ancora più inverosimile è la risposta dell’assistente sociale secondo la quale una bambina di 13 anni non può incontrare i genitori perché sostanzialmente non hanno i soldi per andare a trovarla.
Ma allora mi chiedo a cosa servono i fondi distribuiti ai servizi sociali? Perché questi genitori non vengono aiutati economicamente? Ma soprattutto, perché si è deciso di collocare la bambina in una struttura a 250 km dalla sua famiglia? Forse a Trento e in tutto il Trentino non ci sono comunità?
È necessario che chi di dovere risponda quanto prima a queste domande per il bene di una bambina di 13 anni che da 5 anni è stata allontanata dalla sua famiglia principalmente per la condizione economica precaria della stessa. Ancora più grave è che tutto ciò accada in una provincia come Trento che si pone all’attenzione nazionale per come funzionano i suoi Servizi.
Sono certo che la mancata attenzione della richiesta dei miei assistiti è stata solo una dimenticanza del Presidente della Comunità della Val di Non, dell’Assessore dalle Politiche sociali e dell’Assistente Sociale perché altrimenti non possiamo che ricordarci di quanto sosteneva Manzoni nei suoi promessi Sposi: “Mal cosa nascer poveri, caro Renzo”“.
Avvocato Francesco Miraglia 
 
http://www.lavocedeltrentino.it/index.php/71-anno2013/il-punto-su/20200-la-legge-non-e-uguale-per-tutti-di-francesco-miraglia