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Bimbo di Monza reso disabile per incuria: il Tribunale non ricusa il Giudice

 Avvocato Miraglia: «Il bimbo rischia di tessere abbandonato a stesso: intervenga il Governo al più presto»
 
MONZA (9  Giugno 2020). Il Tribunale di Monza non ha ricusato il giudice incaricato della vicenda del piccolo di cinque anni di Monza, in coma, semiparalizzato e ipovedente a causa di un’infezione non curata.
Il Tribunale non ravvisa manchevolezze nell’operato del magistrato, che in realtà, disinteressandosi palesemente delle sorti del piccolo, mai ha ascoltato le richieste presentate dalla madre, che, prove alla mano, aveva più volte chiesto un intervento, visto il profondo stato di incuria in cui il figlioletto versava da quando il giudice glielo aveva tolto per affidarlo esclusivamente al padre. Il giudice non ha assunto alcun tipo di decisione e purtroppo il bambino adesso giace immobile in un letto, privato dall’uso delle gambe e anche della vista.
«Avevamo richiesto la ricusazione del giudice del Tribunale ordinario di Monza» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, legale della mamma del bimbo, «ma il fatto che sia stata respinta la nostra domanda e che il giudice sia ancora come relatore del caso, non significa che abbia fatto un buon lavoro. Eravamo consci che giuridicamente mancavano i presupposti per il suo allontanamento dal caso, ma speravamo che prevalessero il senso di giustizia e l’etica morale. Ma visto cosa sta succedendo nella magistratura, non ci aspettavamo certo che dei giudici prendessero posizione contro un collega. Nella sostanza le cose però non cambiano: non ci fidiamo più di questo giudice, la madre stessa non ha più fiducia nell’operato di questo magistrato, qualunque decisione assumerà in futuro».
Purtroppo però esiste il grave rischio che il bambino venga riaffidato al padre, dal momento che nessun magistrato ha disposto diversamente, finora, nonostante la gravissima condizione in cui si trova. A causa di un’infezione che il padre non aveva curato, a febbraio era stato ricoverato all’ospedale di Bergamo con una Encefalomielite acuta: dopo settimane di coma, il bimbo si è svegliato paralizzato e ipovedente. Adesso è stato trasferito in un centro di riabilitazione di Lecco, dove la madre lo accudisce quotidianamente, con grandi sacrifici perché non è vicino a casa sua, preoccupata dalle sue condizioni: nessuno, al momento, può dire quante funzionalità potrà recuperare il suo bambino, che fino a quattro mesi fa correva, saltava e giocava spensierato.  
«Sarebbe il momento che qualcuno intervenisse seriamente» prosegue l’avvocato Miraglia, «che gli ispettori andassero a vedere come funziona il Tribunale di Monza, che la ministra per la famiglia Elena Bonetti e il ministro per la Giustizia Alfonso Bonafede intervenissero ad occuparsi di questo caso, di questo bambino, già trascurato anche troppo. Dove sono la specchiata onorabilità e l’etica morale che dovrebbe caratterizzare l’operato di un magistrato? Dov’è l’interesse primo verso i bambini che dovrebbe perseguire il tribunale dei minorenni? Dove sono il senso di giustizia e il buon senso che dovevano prevalere nel trattare il caso di questo bambino? Il giudice non si dovrebbe certo dichiarare colpevole, ma dal punto di vista etico e morale ci permettiamo di sollevare più di qualche dubbio sul suo operare: non si può trattare un bambino come un numero di pratica, non stiamo parlando di quote societarie da suddividere. Qui parliamo di un bambino di cinque anni, che ha potenzialmente altri ottant’anni di vita davanti a sé e chissà in quali condizioni. Il giudice ha dimostrato superficialità, non si è mai preoccupato seriamente di questo caso, non ha nemmeno fissato un’udienza per valutare il caso: semplicemente si è dimostrato indifferente alle sorti di questo bambino, che merita invece, giustizia».
 

Ragazzina prigioniera da due anni di comunità terapeutica

La imbottiscono di farmaci e basta, senza un progetto di recupero.Blitz dei genitori per liberarla

PAVIA (5 Giugno 2020). Da due anni una diciassettenne di Pavia vive praticamente sequestrata nella comunità terapeutica, in provincia di Alessandria, dove viene imbottita di psicofarmaci, a tal punto da non riuscire più a parlare, se non balbettando o incespicando, e a tenersi pulita, in quanto non ha più controllo della sua vescica. Sviene spesso, non va più a scuola: eppure il tribunale dei minorenni di Milano l’ha costretta a stare lì per il “suo bene”. La ragazza era stata, purtroppo, vittima di molestie, ma non da parte dei genitori, persone amorevoli e per bene. Le erano sempre stati accanto, ma l’esperienza l’aveva traumatizzata così tanto da manifestare segni di disagio come nervosismo, ribellioni, disinteresse per la scuola. Preoccupati, i genitori si erano rivolti alla Questura, che li avevano consigliati di indirizzarsi ai Servizi sociali. «Ma invece di un aiuto, si sono visti “sequestrare” la figlia: hanno, infatti, ricevuto dal tribunale dei minorenni di Milano la sospensione della responsabilità genitoriale» rivela l’avvocato Francesco Miraglia, al quale i genitori della diciassettenne, disperati, si sono rivolti per ottenere giustizia. «La figlia, invece, è stata rinchiusa nella comunità terapeutica, dove però in due anni non ha ricevuto alcun aiuto. Anzi, la sua situazione è persino peggiorata».
La ragazza non frequenta più la scuola, a dire il vero non fa più nulla: in comunità si limitano a imbottirla di farmaci, senza una terapia comportamentale, senza un sostegno, senza un progetto di recupero.  Nulla. La comunità d’altronde, è piuttosto chiacchierata: sono tanti i ragazzi che sono scappati da lì, uno di loro è morto finendo sotto un treno. Costretti per mesi a stare lì dentro, senza progettualità, contro la loro volontà, veri zombie a causa degli psicofarmaci con i quali li imbottiscono. «Abbiamo depositato ieri un’istanza urgente al tribunale dei minorenni, chiedendo il ritorno della ragazza a casa» prosegue l’avvocato Miraglia, «pronti, se necessario, a presentare un esposto alla Procura affinché vada a vedere come funziona questa comunità, e perché, nonostante i gravi, ripetuti episodi, il tribunale dei minorenni di Milano continui ad affidare a questa struttura i ragazzi che poi, è chiaro, non vengono seguiti, ma “parcheggiati” e resi inoffensivi con le medicine. Ma il tribunale sa dove li manda quei giovani? Va mai a controllare come procedono le terapie, se questi ragazzi migliorano e possono finalmente ritornare a casa propria? Si interroga mai sugli esiti dei suoi provvedimenti? Se non lo fa, ebbene, è meglio che inizi a farlo, perché le cose, come dimostra questo ennesimo caso, non funzionano affatto bene».
Ieri pomeriggio, dopo l’ennesima videochiamata con la figlia, nel corso della quale i genitori hanno notato in lei l’impossibilità a sostenere una conversazione, tranne che per annunciare l’intenzione di togliersi la vita, sono corsi alla comunità per riprendersi la figlia e farla visitare al pronto soccorso. Qui ha rilasciato delle dichiarazioni sconcertanti, comprovate dalla visita medica: a parte le cicatrici di tagli che si provoca in maniera autolesionista, su una gamba aveva i segni di una bruciatura di sigaretta, inflittale da un altro ragazzo, e un taglio ad un polso, provocatole da un altro ospite con una lametta. La segnalazione in Procura di tutte queste violenze, ormai, è un atto necessario e urgente.

Padova, troppo effeminato: portano via il ragazzino alla madre

Padova, troppo effeminato: portano via il ragazzino alla madre – Regione – Il Mattino di Padova

La storia di un ragazzino di 13 anni di Padova. Avvocato impugna il decreto del Tribunale dei Minori e accusa: gravità inaudita. Il tribunale: “Noi non facciamo discriminazioni” di Claudio Malfitano

Padova, troppo effeminato: portano via il ragazzino alla madre – Regione – Il Mattino di Padova

PADOVA. Questa che raccontiamo è una storia sbagliata. Una storia in cui tutti hanno torto e nessuno ha ragione. È sbagliata perché togliere la potestà genitoriale a una madre è comunque una sconfitta. È sbagliata perché un bambino conteso tra due genitori avrà comunque un’infanzia infelice. Ed è sbagliata anche perché pensare che «il mondo interno» di un ragazzino di 13 anni abbia bisogno di un «percorso di revisione» solo perché è effeminato appare molto distante dal diritto al «pieno sviluppo della persona umana» sancito dalla Costituzione, anche se è scritto in un decreto del tribunale per i minori di Venezia.
La storia di Marco. Per i giudici Marco (un nome di fantasia, ndr) deve essere trasferito in una comunità lontano da casa. Perché? «Perché i servizi sociali sostengono che i suoi atteggiamenti effeminati sono addebitabili alla mamma e alle sorelle, visto che le sue figure di riferimento sono solo femminili», sostiene l’avvocato della madre, Francesco Miraglia, un legale molto noto esperto di diritto di famiglia, che vanta partecipazioni televisive, premi e convegni in tutta Italia.
La storia di Marco però è molto complessa. La madre ha denunciato il padre per abusi sessuali. Il processo si conclude con un assoluzione per insufficienza di prove («Anche se nella sentenza si dice che non si ha motivo di dubitare dei fatti raccontanti dal bambino», sostiene l’avvocato). La procura di Padova ricorre in appello.
La madre però viene indicata dai servizi sociali come la responsabile del «comportamento oppositivo» di Marco nei confronti del padre, che non vuole più incontrare. Il tribunale per i minori emette dunque un primo provvedimento di allontanamento: Marco va in una comunità diurna ogni giorno dalle 7 alle 19. I responsabili della comunità notano gli atteggiamenti effeminati di Marco, li segnalano ai servizi sociali che a loro volta fanno una relazione al tribunale per i minori. Nasce così il secondo provvedimento dei giudici che hanno convocato i genitori in udienza la prossima settimana.
Il decreto del tribunale. È proprio su questo secondo decreto del tribunale, che dichiara «entrambi i genitori decaduti dalla responsabilità genitoriale», che nascono i dubbi della madre e del legale. La relazione dei servizi sociali parla di «problematiche relazionali profonde e segnali di disagio psichico» di vario tipo. Poi il passaggio più contestato: «Il suo mondo affettivo risultava legato quasi esclusivamente a figure femminili e la relazione con la madre appariva connotata da aspetti di dipendenza, soprattutto riferendosi a relazioni diadiche con conseguente difficoltà di identificazione sessuale, tanto che in alcune occasioni era andato a scuola con gli occhi truccati, lo smalto sulle unghie e brillantini sul viso. Emergeva poi un forte conflitto di lealtà con la madre». In realtà la donna contesta questo episodio: «È successo in terza elementare per una festa di Holloween – racconta – In ogni caso per me anche se fosse omosessuale non sarebbe certo un problema».
Le relazioni dei servizi sociali però continuano a tratteggiare Marco come un bambino con un «disturbo di personalità»: «Nella relazione con i pari e gli adulti è aggressivo, provocatorio, maleducato, tende a fare l’eccentrico. Tende in tutti i modi ad affermare che è diverso e ostenta atteggiamenti effeminati in modo provocatorio», si legge nel decreto.
Da qui la decisione del tribunale, che si allinea ai “consigli” dei servizi sociali, sulla «necessità di permettere a Marco un funzionamento differenziato rispetto a quello materno e di avere uno spazio che gli consenta di incontrare i suoi pensieri ed i suoi desideri con conseguente percorso di revisione del suo mondo interno così come oggi lo percepisce».
Rischio discriminazioni. Un provvedimento, quello del tribunale, che l’avvocato Miraglia contesta in modo forte con l’argomento della discriminazione: «Trovo scandalosa la decisione di allontanare un ragazzino solo per l’ atteggiamento effeminato. Mi sembra un provvedimento di pura discriminazione», afferma.
Ma il rischio segnalato dal legale è che il decreto possa portare a situazioni peggiori: «Non sappiamo quale sia l’orientamento sessuale di Marco. Ma il problema ancora più grave è che non esistono comunità che possano accogliere un ragazzino che potrebbe essere omosessuale – afferma l’avvocato – E se arriva con la nomea di essere omosessuale? Non rischiamo di trasformarlo in un ragazzino a rischio suicidio? A me sembra una vicenda di una gravità inaudita». «Non possiamo accettare che possa essere discriminato dal tribunale – conclude Miraglia – E poi vogliamo sollecitare anche le associazioni. Perché qui c’è una mamma che ha la forza di venire fuori, ma ci sono molti altri casi in cui famiglie e minori si trovano ad essere discriminati da chi dovrebbe tutelarli: non è accettabile».
L’ultima parola è quella dei giudici, che proveranno ad aggiustare questa storia. Anche se forse le parole giuste sono quelle di chi una «storia sbagliata» l’ha messa in musica: «Cos’altro vi serve da queste vite ora che il cielo al centro le ha colpite, ora che il cielo ai bordi le ha scolpite».
Il tribunale: “Noi non facciamo discriminazioni”. «Non allontaniamo un minore dalla famiglia perché ha un atteggiamento effeminato. Noi non facciamo discriminazioni di natura sessuale o di tendenza. Il nostro interesse riguarda il comportamento complessivo di un minore se presenta o meno difficoltà». La presidente del tribunale per i minorenni di Venezia, Maria Teresa Rossi, in riferimento alla vicenda del ragazzo allontanato dalla famiglia parla di un «disturbo di personalità» ma esclude categoricamente che nella decisione del tribunale possa aver influito il presunto comportamento effeminato del giovane.
«Il tribunale non allontana per un presunto atteggiamento effeminato. Noi non abbiamo preconcetti relativi alle tendenze legate alla sfera sessuale. Ogni provvedimento che limita la responsabilità genitoriale è legato a una visione complessiva che riguarda l’adeguatezza o meno dei genitori a svolgere il proprio ruolo e la tutela del minore, che è il nostro interesse primario, può portare a una riduzione della loro stessa responsabilità». Una questione, quest’ultima, che, sul piano della casistica delle diverse e complesse vicende affrontate dal tribunale per i minorenni, non è «un fatto raro».
La presidente non entra nel merito del caso specifico, che sarà affrontato nel corso di una udienza fissata nei prossimi giorni, ma ricorda che va valutata quella situazione generale, legata ad atteggiamenti di aggressività, provocazione, educazione, complessità della situazione familiare segnalati dai servizi sociali, che esprimono «un disturbo di personalità». La vicenda del minore è seguita da anni dai servizi e dal tribunale e l’ultimo provvedimento accogliere una richiesta di allontanamento fatta dalla procura minorile. Comunque, si tratta – a quanto si apprende – di un provvedimento temporaneo che sarà valutato proprio nel corso dei prossimi mesi per una ulteriore decisione.
Il caso in parlamento, interrogazione di Zan. Il deputato padovano del Pd Alessandro Zan ha presentato un’interrogazione urgente al governo sul caso del ragazzino padovano che sarebbe stato allontanato dai genitori per decisione del Tribunale dei minori a causa delle «difficoltà di identificazione sessuale». «Quando la discriminazione proviene da chi invece dovrebbe proteggerci, quando la sentenza di un tribunale ci dice di più su chi giudica che non sul fatto da giudicare e quando tutto questo mette a rischio i diritti

di un minore – afferma Zan – non possiamo non chiederci dove e quando il sistema di garanzie di uno Stato civile ha smesso di funzionare. Per accertare le responsabilità di chi si è occupato della vicenda e per tutelare il minore coinvolto ho presentato un’interrogazione urgente al Governo».

Papà accusato di abusi ma mamma è sotto accusa

Coinvolte due corti: la donna accusa l’ex compagno di violenza sul figlio di 9 anni Ma per il Tribunale dei minori potrebbe essere lei ad aver manipolato il piccolo
Bambini contesi, strapazzati, abusati nel cuore e nella mente, quando non anche nel corpo. Sono tanti e silenziosi. Ormai è evidente: la vicenda del minore di Cittadella è solo la punta di una realtà fatta di liti laceranti e infinite.
Strappato il velo della vergogna, ora i casi vengono alla luce, l’uno più sconvolgente dell’altro, perché il peggio sembra non avere mai fine. Oggi è la storia di un bambino di 9 anni, che la madre, M. 39 anni, padovana, corre il rischio di vedersi strappare per affidarlo a una casa-famiglia, qualora il bambino non iniziasse un percorso di avvicinamento al padre. Che però è indagato per pedofilia. Proprio nei confronti del figlioletto: gli abusi sarebbero iniziati quando questi aveva poco più di tre anni.
Un caso dell’alienazione genitoriale su cui nell’ultima settimana siamo stati così dettagliatamente informati e di cui, anche in questo caso, parla il consulente del Tribunale dei minori? Forse. Eppure il bimbo non è l’unico ad accusare il padre di molestie. Come lui, prima di lui, la sorellastra del piccolo che sostiene di essere stata costretta a guardare film porno e a fare la doccia davanti al patrigno (accusa archiviata) proprio quando accompagnava il fratello a trovare il genitore. E ancora, la cuginetta, figlia del fratello del padre e di cui lo stesso genitore riferisce in più occasioni, molestata sessualmente quando era piccola. Tutti plagiati?
In questo quadro si colloca anche il rinvio a giudizio della nonna paterna che tra qualche mese dovrà rispondere di minacce ai danni della ex nuora.
Nella vicenda coinvolto, necessariamente, anche il Tribunale dei minori: dopo la denuncia della madre, nel 2008, e lo stop repentino delle visite, nel 2010 il giudice, su ricorso del padre, incarica l’Usl di attuare un percorso di graduale ripresa dei rapporti padre-figlio, tenendo conto delle problematiche psicorelazionali evidenziate dalla terapeuta del bimbo e attivando un percorso di sostegno alla genitorialità per il padre che lo accompagni verso l’acquisizione di una responsabilità genitoriale. Il Tribunale dispone, inoltre, che il servizio offra a entrambi i genitori un percorso di revisione della loro vicenda tale da rapportarsi nell’interesse del figlio. Gli incontri protetti hanno inizio contro il volere del bambino che appare turbato: ci sono registrazioni audio in cui lo si sente piagnucolare e rifiutarsi di scendere dalla macchina, mentre la madre lo sollecita, rincuorandolo. Al terzo appuntamento, il piccolo si sblocca e “vomita” addosso al padre le accuse di violenza, scrivendole su fogli di carta: allucinanti, qualora in sede penale trovassero conferma. Addebiti che il piccolo ripeterà successivamente nel corso di un lungo incidente probatorio: «Si tratta di accuse precise e circostanziate» conferma l’avvocato Francesco Miraglia, che rappresenta la mamma.
A giorni, si attende la formulazione delle richieste del pubblico ministero. Tuttavia, se possibile, c’è una sentenza che preoccupa ancora di più la madre del bambino, ed è quella del Tribunale dei minori che, spiega il legale della donna, tra le possibili soluzioni – che non potendo prescindere dalla pronuncia del Tribunale penale – prospettano per il bambino otto mesi in carico ai servizi sociali per il riavvicinamento al padre, con l’ulteriore possibilità di una collocazione in una casa-famiglia: «È vergognoso che di fronte a un quadro di questo tipo si prospettino questo tipo di soluzioni senza valutare il necessario approfondimento» attacca l’avvocato.