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MALTRATTAMENTI IN CASA FAMIGLIA A FIDENZA , VECCHI (PDL) CHIEDE SPIEGAZIONI ALLA REGIONE

 
Com’è possibile che un imputato dei reati di maltrattamento di minori e abuso di mezzi di correzione gestisca una “casa famiglia” nonostante, se non è un caso di omonimia, abbia un passato da brigatista coinvolto nel sequestro Moro e sulle spalle altre condanne per reati contro la persona e una condanna a 18 anni per associazione sovversiva?
Se lo è chiesto il consigliere regionale del PdL Alberto Vecchi, vicepresidente della Commissione Politiche per la Salute e Politiche Sociali della Regione Emilia-Romagna, che in un’interrogazione indirizzata alla giunta Errani ha chiesto che venga chiarita, al più presto, la posizione di Flavio Amico che, insieme alla moglie Margherita Fortisi, gestisce a Fidenza una “casa famiglia” legata all’Associazione onlus “We are here – Noi siamo qui”.
Flavio Amico risulta, infatti,  imputato in un processo davanti al Tribunale di Parma, sede distaccata di Fidenza, per i reati di maltrattamento di minori e abuso di mezzi di correzione a seguito di una denuncia di un educatore in servizio nella “casa famiglia” relativa a due distinti episodi avvenuti nel 2008 e nel 2009, ai danni di due ragazzi allora ospiti della comunità gestita dai coniugi Amico.
“Nonostante il processo a carico – scrive Vecchi – FlavioAmico ha continuato a gestire la comunità familiare a Fidenza e a lavorare come educatore anche nella comunità educativa per minori Ca’ degli Angeli di Tabiano Terme, aperta nel 2009 e recentemente trasferita all’interno di una struttura di accoglienza più ampia, Casa Viburno, nata lo scorso anno sempre per manodell’Associazione “We are here – Noi siamo qui”, di cui la moglie Emanuela Fortisi, è presidente”.
Ma ci sarebbe anche dell’altro. Secondo l’avvocato Francesco Miraglia, legale rappresentante dei genitori di un ragazzino ospitato nel 2010 nella comunità Cà degli Angeli di Tabiano e autore del libro sui diritti violati dell’infanzia “Mai più un bambino”, Flavio Amico avrebbe un passato da brigatista e sarebbe stato coinvolto nel sequestro Moro e per questo condannato a 18 anni di carcere per associazione sovversiva.
“In una lettera molto circostanziata – spiega Vecchi –  l’avvocato Miraglia riporta che nel 1978 Flavio Amico era stato arrestato insieme ad altri esponenti delle Brigate Rosse in via Montenevoso 8, a Milano, nella cosiddetta “prigione del popolo” e, al momento dell’arresto, si era dichiarato “combattente comunista” e, in un’altra occasione, “prigioniero di guerra”. Per il suo coinvolgimento nel sequestro Moro, per la sua appartenenza alla colonna brigatista “Walter Alasia”, che si autodefiniva “irriducibile”, fu condannato a 18 anni di carcere per associazione sovversiva”.
Inoltre risulterebbe che dal 1978 al 1998 Flavio Amico avrebbe collezionato altre condanne, alcune delle quali anche per reati contro la persona, tant’è che sulla sua vicenda personale pare che il Garante perl’infanzia e l’adolescenza, organo istituito nel 2011 presso la Regione Emilia-Romagna, stia compiendo verifiche e accertamenti.
“Saremmo curiosi di sapere – conclude Vecchi – se la Giunta regionale sia o meno a conoscenza di questa vicenda; a meno che non si tratti di un caso di omonimia, come sia stato possibile per Flavio Amico, data la gravità dei precedenti giudiziari, ottenere l’autorizzazione all’apertura e al funzionamento di una “casa famiglia”, usufruire di fondi pubblici, ed occuparsi, come educatore, di minori giá provati da situazioni famigliari particolari; come sia stato possibile, date le denunce e il processo in corso, che le istituzioni preposte al controllo della“casa famiglia” non abbiano attivato le necessarie verifiche e non abbiano sospeso cautelativamente dall’attività Flavio Amico; se la Giunta regionale non ritenga doveroso disporre un immediato controllo sulla “casa famiglia” in questione”.