“Contro il silenzio e l’ingiustizia io ci metto la faccia”
Francesco Miraglia: premiato per i diritti umani, voce scomoda e instancabile dei più fragili
Intervista a cura della redazione di L’Italia Giusta – Voci di Legalità e Diritti
FROSINONE, 10 MAGGIO 2025 – Nell’ambito del convegno “Il ricorso al Codice Rosso tra criticità attuative e tutela delle vittime”, organizzato presso il Palazzo Comunale di Frosinone, è stato conferito a Francesco Miraglia il prestigioso Premio Internazionale “Diritti Umani” 2025, promosso dalla Fondazione Club di Londra – Associazione Club d’Italia, con il patrocinio del Comune.
Il riconoscimento, assegnato “per aver dedicato una vita alla giustizia e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei minori”, celebra un percorso fatto di coraggio, denuncia e impegno a difesa dei più vulnerabili.
Cosa significa per te ricevere questo premio?
È una conferma che la strada intrapresa, per quanto faticosa e spesso in salita, è quella giusta. Questo premio non celebra una posizione o un titolo: celebra una scelta. La scelta di stare dalla parte degli ultimi, dei dimenticati, di chi non ha voce. È un riconoscimento che mi emoziona profondamente, ma che mi ricorda anche quanto ancora c’è da fare. Non è un traguardo: è un impegno che si rinnova.
Durante il convegno di Frosinone, dedicato al Codice Rosso, si è parlato di violenza, tutela dei minori e sistema giudiziario. Qual è stata, secondo te, la forza di quell’incontro?
È stato un momento importante, non solo simbolico. Parlare di Codice Rosso in un contesto istituzionale, con relatori autorevoli, è stato utile per mettere in luce le difficoltà concrete nell’applicazione della legge. Si è parlato di vittime vere, di genitori lasciati soli, di bambini non ascoltati. È stato un confronto franco e costruttivo. Il fatto che il premio sia stato consegnato proprio lì, in mezzo a un dibattito così vivo, ha dato ancora più forza al suo significato.
Nel tuo lavoro sei spesso entrato in contatto con famiglie in difficoltà. Qual è, secondo te, il nodo più critico del sistema?
Il punto più doloroso è la fragilità istituzionale quando si parla di famiglie e minori. Troppo spesso madri, padri o genitori che chiedono aiuto vengono visti con sospetto. Si attivano meccanismi di valutazione rapidi, a volte superficiali, che invece di accompagnare le famiglie le colpevolizzano. Il problema degli allontanamenti forzati dei figli, ad esempio, riguarda entrambi i genitori: madri accusate di essere conflittuali, padri dipinti come pericolosi o inadeguati senza prove reali. Spesso, il sistema si dimentica che dietro ogni procedura ci sono persone vere, bambini che subiscono traumi profondi, e genitori che vengono messi da parte senza che nessuno li ascolti davvero.
Hai affrontato questi temi anche nel tuo ultimo libro. Di cosa si tratta?
Il mio ultimo lavoro, scritto insieme a Daniela Vita, si intitola “Ma il problema sono io – La vittimizzazione secondaria ad opera del sistema giudiziario. Violenza domestica e allontanamento dei figli dai genitori”, pubblicato da Armando Editore.
È un libro che racconta storie vere. Storie in cui il sistema, invece di proteggere, punisce chi denuncia. Dove genitori che cercano giustizia si trovano sotto accusa, dove il trauma viene moltiplicato invece che curato. La vittimizzazione secondaria è una realtà dura e spesso taciuta. Ed è fondamentale parlarne, perché finché non verrà riconosciuta, continueremo a perdere non solo la fiducia delle persone, ma anche il senso stesso della giustizia.
Lo presenterai anche al Salone del Libro di Torino. Che significato ha per te questo momento?
È un grande onore. Il Salone Internazionale del Libro di Torino è un luogo dove si incontrano idee, ma soprattutto verità. Portare lì questo libro significa portare un messaggio forte: che la giustizia non può voltarsi dall’altra parte. Spero che chi leggerà quelle pagine riesca a riconoscersi, a trovare forza, o semplicemente a capire cosa succede dietro le quinte del sistema giudiziario, quando smette di essere umano.
Difendere i diritti umani in Italia oggi: è ancora una lotta?
Assolutamente sì. Lo è, forse più che mai. Difendere i diritti umani significa esporsi. Significa scegliere ogni giorno da che parte stare, anche quando è scomodo. E vuol dire anche affrontare la freddezza delle istituzioni, la lentezza della burocrazia, la rigidità culturale. Ma proprio per questo è una battaglia che vale la pena combattere. Perché ogni volta che una persona viene ascoltata, che una verità viene accolta, si fa un passo avanti.
Cosa vuoi dire a quei genitori che oggi si sentono sotto attacco, incompresi, o peggio: dimenticati?
A loro voglio dire: non siete soli. Anche se sembra che il sistema vi abbia traditi, anche se vi fanno sentire “il problema”, sappiate che la vostra voce ha valore. Ci sono persone che lottano per cambiarlo, questo sistema. Genitori, non lasciate che vi facciano dubitare di ciò che sentite. Se vi hanno fatto passare per colpevoli mentre cercavate solo protezione, sappiate che la colpa non è vostra. Continuate a parlare, a cercare ascolto, a far valere la vostra umanità.
Sei stato definito “il grande accusatore” nel caso Bibbiano, il processo Angeli e Demoni ha scosso l’opinione pubblica. Che ruolo hai avuto, e cosa ti ha lasciato quella esperienza?
In quel caso ho solo fatto il mio dovere: portare alla luce ciò che troppe persone ignoravano o fingevano di non vedere. Il mio ruolo è stato quello di ascoltare famiglie distrutte, bambini allontanati, genitori disperati, e dare voce a una verità scomoda. Non cercavo visibilità, ma giustizia. Essere definito “il grande accusatore” è stato il segno di quanto profondamente quel caso avesse toccato un nervo scoperto.
Non voglio entrare nelle dinamiche strettamente processuali, anche perché il processo “Angeli e Demoni” è tuttora in corso e merita rispetto. Ma posso dire con fermezza che, al di là delle responsabilità individuali che saranno accertate in sede giudiziaria, quel caso ha aperto gli occhi su un sistema che in alcuni casi ha agito in modo distorto. E ha dimostrato quanto sia difficile, ma necessario, prendere posizione quando i diritti dei bambini e delle famiglie vengono calpestati. La giustizia, in generale – ma soprattutto la giustizia minorile – ha bisogno di essere meno superficiale, meno approssimativa. Ha bisogno di essere più competente, più preparata, e profondamente equilibrata. Perché quando si decide sul destino di un bambino, ogni leggerezza è una ferita che può durare tutta la vita.
Spesso chi denuncia un abuso finisce per diventare l’accusato. È davvero così frequente questa inversione di ruoli?
Sì, ed è uno degli aspetti più drammatici di tutto ciò che racconto anche nel libro. Capita troppo spesso che chi alza la voce per denunciare una violenza, un pericolo, un maltrattamento, venga poi trascinato in una spirale di sospetto, delegittimazione, attacchi. La vittima diventa “problematica”, “strumentale”, “conflittuale”. E il sistema, invece di proteggerla, la accusa. È la logica rovesciata della vittimizzazione secondaria. E riguarda madri, padri, genitori, cittadini qualunque che chiedono solo giustizia e vengono trattati come nemici del sistema. Questo è inaccettabile. E finché non lo diremo apertamente, continueremo ad alimentare un meccanismo profondamente ingiusto.
Un premio, un libro, un impegno che continua
Il Premio Internazionale “Diritti Umani” 2025 e il libro “Ma il problema sono io” non sono traguardi, ma tappe di un percorso coerente. Francesco Miraglia non si limita a denunciare: agisce, ascolta, scrive, difende. E lo fa per ogni persona che si è sentita respinta da un sistema che avrebbe dovuto proteggerla. Anche attraverso la cultura – come accadrà al Salone Internazionale del Libro di Torino – la sua battaglia continua. Per restituire dignità. Per dare voce. Per non lasciare nessuno indietro.