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Bergamo: quindicenne lotta per restare a casa con sua mamma

La mamma ha cercato di convincerlo ma lui è stato irremovibile. Ora la questione torna al Tribunale di Brescia.
Bergamo (6 marzo 2024). Oggi Massimo (nome di fantasia) rischiava di essere collocato in una comunità, lontano dalla sua famiglia e dai suoi amici e conoscenti; probabilmente, infatti, gli avrebbero anche cambiato scuola. Una decisione che Massimo non capiva e riteneva profondamente sbagliata.
Sebbene non comprendesse il provvedimento – dato che suo figlio era migliorato moltissimo, come confermato dalla relazione redatta dall’Istituto scolastico che frequenta – la mamma ha comunque cercato invano di convincerlo.
A quel punto, ha chiamato l’assistente sociale che ha parlato più volte con Massimo. Infine, l’assistente e una collega sono venute a casa e hanno avuto un colloquio riservato con lui, da sole, senza nessuna interferenza della mamma o della famiglia. Dopo aver constatato che Massimo si era informato leggendo le convenzioni internazionali sui diritti dei fanciulli, la Costituzione, le leggi italiane e le ultime sentenze della Corte di cassazione hanno probabilmente capito che la sua scelta era frutto di una decisione matura e meditata e lo hanno lasciato a casa.
Ora ci auguriamo che il Tribunale faccia chiarezza.
Secondo l’avvocato Miraglia, legale della mamma: “In qualità di avvocato di fiducia della famiglia di Massimo, intendo esprimere profondo disappunto e preoccupazione per le modalità con cui sono state gestite le questioni relative al collocamento coatto di Massimo.
Siamo particolarmente allarmati dalle modalità di interazione tra l’assistente sociale e Massimo, incluse le minacce inappropriatamente rivolte al ragazzo, riportate dallo stesso, e le implicazioni negative paventate nei confronti della genitorialità della madre. Tali azioni, insieme alla denigrazione subita dalla madre in presenza di altri operatori, non solo sono eticamente discutibili ma potrebbero configurare violazioni deontologiche e legali.
Riteniamo che la situazione meriti una revisione critica e approfondita da parte dell’autorità giudiziaria competente.”
In merito alla vicenda ci sono infatti alcuni aspetti questionabili che sollevano dei dubbi di incompetenza (o peggio?) che a nostro avviso meriterebbero di essere presi seriamente in considerazione.
In primis, come mai nonostante i grandi miglioramenti ottenuti da Massimo, i Servizi sociali hanno optato comunque per una decisione tanto grave come la sottrazione forzata dalla famiglia e l’istituzionalizzazione in comunità? Inoltre, ci risulta che l’assistente sociale che si occupa della famiglia sia una ragazzina senza esperienza; forse in un caso del genere sarebbe stato preferibile un professionista più esperto.
Ma non è tutto. La famiglia ha riferito dei fatti molto gravi.
Quando l’assistente sociale ha saputo che Massimo non voleva andare in comunità lo ha minacciato di chiamare i Carabinieri. Poi, avrebbe anche detto al ragazzo che se non andava in comunità la mamma avrebbe potuto avere delle ripercussioni e le avrebbero potuto sospendere la genitorialità. Quando Massimo le ha chiesto perché lo stesse minacciando, l’assistente non ha saputo replicare.
Un altro fatto gravissimo è stata la denigrazione della mamma da parte dell’assistente sociale in presenza della collega che non è intervenuta per correggerla. Mentre le due operatrici parlavano da sole con Massimo, l’assistente sociale ha affermato che doveva andare in comunità per “colpa” della mamma.
Ci auguriamo che Massimo possa trovare la giustizia e la serenità che merita.
FamiglieUnite.it

Cuore spezzato: la battaglia legale di una giovane mamma di etnia sinti contro l’ingiustizia

Denunciati gli assistenti sociali e l’intero collegio dei Giudici minorili di Roma

In una tranquilla periferia di Roma, dove le strade si intrecciano come i destini di chi le percorre, si è consumato un dramma che racchiude in sé le sfumature di un’ingiustizia tanto sottile quanto profonda. Al centro di questa storia c’è una giovane mamma sinti, una ragazza di appena 13 anni che ha visto il suo mondo capovolgersi in un istante, strappata alla gioia ineffabile di tenere tra le braccia la sua neonata.
Il preludio a questa vicenda ha i contorni di un inganno: una convocazione ai servizi sociali con la promessa di una casa popolare, una speranza che si è trasformata in un incubo. La realtà era ben diversa, e quello che doveva essere un sostegno si è rivelato un tranello che ha portato alla separazione forzata tra una madre e sua figlia, un dolore incommensurabile che nessuna parola può pienamente descrivere.
Le accuse mosse contro assistenti sociali, operatori sanitari, il sindaco e persino giudici del Tribunale per i minorenni di Roma sono gravi: abuso d’ufficio, lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia. Accuse che, se confermate, disegnano un quadro di violazioni legali e morali difficili da comprendere e accettare.
Ma al di là delle accuse, delle procedure legali e delle battaglie in tribunale, c’è una verità semplice e devastante: una famiglia è stata spezzata. Una giovane mamma, nonostante la sua età, aveva scelto di accogliere con amore sua figlia, supportata dalla propria famiglia, pronta a crescerla secondo le proprie tradizioni, in un ambiente di affetto e protezione.
La rapidità con cui è stata dichiarata l’adottabilità della neonata solleva interrogativi profondi sulla giustizia e sull’equità del nostro sistema. Il diritto di una madre di crescere il proprio figlio, il desiderio di una famiglia di rimanere unita, il rispetto per le tradizioni e l’identità etnica: valori che sembrano essere stati trascurati o, peggio, calpestati.
In questa storia, la giovane mamma sinti rappresenta non solo se stessa ma tutte quelle voci che troppo spesso restano inascoltate, quelle storie che non trovano spazio nei titoli dei giornali o nelle agende politiche. La sua lotta è la lotta di chi si trova a fronteggiare pregiudizi radicati, di chi cerca giustizia in un sistema che a volte sembra dimenticare i più vulnerabili.
Mentre la battaglia legale continua, resta il dolore di una famiglia divisa, la lotta di una madre per riabbracciare sua figlia. In questa vicenda, il cuore di una giovane ragazza batte forte, un cuore spezzato ma non sconfitto, che ci ricorda l’importanza dell’amore, della giustizia e della speranza.
In questa storia, come in molte altre, la vera questione al centro è l’umanità: la nostra capacità di ascoltare, di comprendere, di empatizzare. È un richiamo a guardare oltre le etichette, a riconoscere l’individuo dietro la statistica, a ricordarci che, al di là di ogni differenza, ciò che ci unisce è molto più profondo di ciò che ci divide.
La storia di questa giovane mamma e della sua bambina non è solo una cronaca di ingiustizie; è un monito, un appello a riflettere su come trattiamo gli altri, su come proteggiamo i più deboli, su come costruiamo un mondo in cui ogni bambino possa crescere amato e ogni madre possa vivere senza il terrore di vedersi strappare il proprio figlio. Un mondo in cui la giustizia non sia solo una parola, ma una realtà per tutti. A parte il modo subdolo in cui si sono comportati, è chiaro che avessero tutti fin da subito intenzione di togliere la bimba alla giovane mamma: il Tribunale per i minorenni di Roma ha provveduto infatti in un tempo record (in soli 28 giorni), alla dichiarazione dello stato di adottabilità della neonata, ravvisando un fantomatico “stato di abbandono” che, in realtà, non si è mai verificato giacché sia la neomamma che la sua famiglia hanno sempre espresso il desiderio di tenere la bambina.
«La legge è chiara – dichiara l’avvocato Miraglia, al quale la famiglia si è affidata per ottenere giustizia – e prevede che per i genitori minori di 16 anni il procedimento di accertamento dello stato di abbandono si apra e contestualmente si sospenda fino al compimento del sedicesimo anno Confidiamo sicuramente nell’operato della Procura della Repubblica ci Cassino e in quella di Perugia competente per eventuali reati a carico dei giudici affinché faccia chiarezza ed eventualmente vengano puniti i colpevoli.
In questo caso, invece, la legge è stata palesemente violata e ignorata e non vorremmo che fosse stato fatto solo perché la ragazzina è di etnia sinti. Non si è tenuto in conto né della volontà della ragazzina, né della presenza di una cerchia familiare in grado di occuparsi di lei e della figlioletta e nemmeno del fattore culturale, che potrà pure contrastare con i principi di molti, ma che è radicato e va tenuto in considerazione».

Child protection policy 2024 policy guidelines and Procedures on child sateguarding and protection

Studio Legale Miraglia has developed this Child Protection Policy to ensure the highest standards of professional conduct and personal practice in situations involving children. More specifically, this policy includes measures concerning recruitment procedures, management structures, staff training, and development of protocols.
1. DEFINITIONS
For the purposes of the present policy, the following definitions apply:
• A child is every human being below the age of eighteen years old, as defined by the UN – Convention of the Rights of the Child.
For the purpose of this policy we use child/children and minors interchangeably.
• Protecting a child means preventing and responding to violence, exploitation and abuse of children in all contexts.
Protecting a child entails analyzing the child’s unique personal context, situation and needs on a case-to-case basis.
• Child participation means that any person under the age of 18 can freely express their views, to be heard and to contribute to the decision-making process. Their views must be given due weight in accordance with the individual’s age and maturity.

• Staff members are all paid staff, volunteers, interns and external collaborators.

• Child maltreatment refers to the abuse and neglect that occurs to children under 18 years old. This includes all types of physical and/or emotional ill-treatment, sexual abuse, neglect, negligence, and any form of exploitation that threatens to harm or jeopardizes the child’s health, survival, development and dignity.
2. PRINCIPLES AND VALUES
Studio Legale Miraglia is committed to the following values and principles, which should be respected and promoted by all its staff members:
• it values and treats every person without discrimination of any kind, irrespective of their age, sex, language, religion, political or other opinions, and national, ethnic or social origin and status;
• it has a zero-tolerance policy towards any kind of inappropriate behaviour, violence or abuse including towards children;
• it recognizes the right of every child to be protected from any harm and abuse;
• it promotes the right of children to be heard and share their views regarding matters which affect them.
3. SCREENING AND HIRING PRACTICES
Studio Legale Miraglia is committed to sustaining rigorous hiring and selection practices, including reference checks, criminal background checks and social security checks.
Prospective staff members will be interviewed to make sure that they meet the requirements, and they will be required to sign the organization’s Code of Conduct and Child Protection Policy once they obtain the job.
4. PRINCIPLES OF CONDUCT AND PROCEDURES OF STAFF IN CONTACT/WORKING WITH CHILDREN
4.1. The following principles apply when working with children:
• compliance with Studio Legale Miraglia’s Code of Conduct and Child Protection Policy.
As previously mentioned, before performing any work duties, staff members will sign and date a copy of the Code of Conduct, to which the Child Protection Policy is annexed. If changes or updates are made, all staff members will be provided with the new version, which must be signed in acknowledgement and acceptance.
• All external collaborators will be provided with the Child Protection Policy and the Code of Conduct if they work with children younger than 18 years of age.
• The Code of Conduct includes the procedures for data collection and treatment of data regarding children and young people. Data privacy and protection issues shall comply with relevant EU rules (especially the General Data Protection Regulation (GDPR) (EU) 2016/679.
• If personal data about minors needs to be collected, written informed consent will be sought from their parents/legal guardians.
• Staff who may come in contact with the personal data of research participants is required to sign a declaration of confidentiality before engaging in research.
• Written informed consent of the parents/legal guardians shall be specifically sought if disclosing information regarding a minor. This includes disclosing any type of information (including images) regarding a minor. Acquired images and data are stored on the local server of Studio Legale Miraglia and are accessible only by the staff who have the specific credentials and who have signed the Code of Conduct.
• All publications must comply with the Child Protection Policy before being publicized or shared.
4.2. Training on child protection
The Child Protection Policy will be shared with each new staff member and will be regularly reinforced and updated. More specifically,
• all paid staff, volunteers and interns will participate in a comprehensive child protection training and in further training throughout their employment period;
• external collaborators who may come in contact with children will participate in the same child protection training.
All staff members and external collaborators have an obligation to report any child abuse concerns they may have or suspect both within the organization or in an external context.
5. DECLARATION
By submitting this report, the subject declares that:
• He/she is aware that this report could be used an official statement, should the report give rise to legal action on behalf of Studio Legale Miraglia;
• He/she is in good faith and that all the information provided above is correct and truthful;
• He/she is aware that providing false accusations against someone is a breach punishable by Italian law.
The reporting subject
(Read and approved) date

Cassino: processo per il capo dei servizi sociali e per l’assistente sociale per violenza privata e abuso d’ufficio

avevano tolto due ragazzine alla zia, cui erano affidate, solo per ripicca.

CASSINO (08.02.2024). Imputazione coatta per due reati gravi: violenza privata e abuso d’ufficio. Il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’imputazione coatta per due membri dei servizi sociali di Cassino. Il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione, ma il gip ha ritenuto che per questi due reati ci fossero delle prove serie e circostanziate e che il provvedimento di allontanamento delle due ragazzine – trasferite in una comunità – fosse del tutto illegittimo. E’ basato su una forma di rancore verso la zia delle ragazze, alla quale erano state affidate nel 2018, poiché il giudice tutelare l’aveva ritenuta la scelta idonea per la loro crescita serena: la mamma soffre di disordini psicologici e psichiatrici, il padre non riesce ad occuparsi delle figlie e si è sposato con una donna che, per sua stessa ammissione, era alquanto severa e molto poco amorevole con le bambine. Con la zia invece le ragazzine erano serene, frequentavano la scuola con profitto, praticavano sport.
Poi ad aprile 2021, il tutore e l’assistente sociale avevano deciso di allontanare le bambine senza preavviso, ritenendo eccessivo l’attaccamento della zia verso di loro. “Eccesso di possesso” lo avevano definito. Per toglierle le bimbe avevamo usato uno stratagemma alquanto subdolo, per di più: le sorelline erano infatti convinte di dover incontrare il padre nel corso di un incontro protetto, invece vennero caricate su un veicolo, senza vestiti di ricambio né libri di scuola e nemmeno effetti personali e portate in Casa famiglia, dove erano rimaste un mese, fino a quanto il tribunale aveva revocato l’allontanamento, ritenendo che le bimbe stessero molto meglio con la zia.
E’ sulla base di questo comportamento dei servizi sociali che la zia – assistita dall’avvocato Miraglia – ha sporto una denuncia che ha dato il via alle indagini. Al termine delle quali il gip ha ravvisato che esistano gli estremi per una ragionevole previsione di condanna per i reati di abuso d’ufficio e violenza privata, avendo cagionato un danno ingiusto alle bambine, provate dell’allontanamento dal loro domicilio abituale e dall’affetto della zia. E tutto sulla base di un provvedimento immotivato e illegittimo che i due assistenti sociali avrebbero compiuto solo perché la donna era loro invisa per il suo modo di approcciarsi a loro. Arrivando a effettuare una “macroscopica violazione e falsa applicazione dell’articolo 403 del codice civile” (l’intervento della pubblica autorità a favore dei minori) né necessaria né opportuna, anzi dannosa ed esclusivamente con l’intenzionalità di “procurare volutamente danno ingiusto” alla signora, incuranti di arrecare un trauma alle bambine.
Andranno a processo il Capo sei servizi sociali del comune di Cassino ed un Assistente sociale dello stesso comune.
«È una vittoria amara – dichiara l’avvocato Miraglia – in quanto siamo contenti di questa decisione storica: in molti casi in cui abbiamo denunciato i servizi sociali in tutta Italia per comportamenti analoghi, questa è la prima volta che un giudice arriva all’imputazione cotta per dei reati. D’altro canto siamo però amareggiati in quanto queste situazioni accadono, e succedono molto, troppo spesso. Se questa storia deve insegnare qualcosa, è ad essere di esempio e stimolo a chiunque si senta vittima di una ingiustizia come questa, di andare a denunciarla».

Considerazioni e riflessioni sull’art. 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazioni

In base all’articolo 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazione italiano (Decreto
Legislativo del 25 luglio 1998, n. 286) il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi
con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore
straniero che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del
familiare del minore che si trovi sul territorio italiano, per un periodo di tempo determinato,
anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge. L’autorizzazione è revocata
quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del
familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I
provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore
per gli adempimenti di rispettiva competenza.
E’ questa una disposizione che nell’ordinamento giuridico italiano trova applicazione in
tutti i casi in cui al genitore del minore straniero, madre o padre, che si trova in Italia viene
revocato il rinnovo o la concessione del permesso di soggiorno per vari motivi e
soprattutto nel caso in cui emergano elementi ostativi al rilascio od al rinnovo di un titolo di
soggiorno: si pensi al genitore che ha subito condanne penali per reati ostativi all’ingresso
o al soggiorno dello straniero in territorio italiano (ess. reati in materia di cessione di
sostanze stupefacenti) o che venga considerato pericoloso per l’ordine pubblico.
In tutti questi casi entrano dunque in conflitto due interessi, entrambi tutelati dalla
Costituzione italiana e cioè da un lato vi è l’interesse alla conservazione dell’ordine
pubblico e della sicurezza dello Stato, dall’altro vi è invece l’interesse alla salvaguardia
dell’unità familiare e del diritto del minore a crescere con i propri genitori naturali,
considerato altresì che il diritto all’unità familiare è regolato e tutelato, nelle sue condizioni
di attuazione, anche dagli artt. 29 e 30 del Decreto Legislativo n° 286/98 e cioè dallo
stesso Testo Unico Immigrazione.
L’art. 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazione italiano è dunque una norma che,
fin dalla sua entrata in vigore, si è posta al centro di un vivace e costante dibattito in
dottrina ed anche in giurisprudenza proprio perchè tale norma cerca di contemperare vari
interessi che, come si è detto, sono parimenti garantiti a livello costituzionale.
Il dibattito interpretativo si è acceso soprattutto intorno al concetto di “gravi motivi”
che possono giustificare la permanenza in territorio italiano del genitore del minore
contemplato dal’art. 31 comma 3° del Testo Unico Immigrazione: ed infatti tali “gravi
motivi” sono stati interpretati, alternativamente, come il ricorrere di una situazione di
emergenza, a carattere eccezionale o contingente (non rinvenibile nelle ordinarie
necessità di accompagnarne il processo d’integrazione ed il percorso educativo e presente
in caso di problemi di salute del minore) o come il fatto di trovarsi in presenza di minori di
tenerissima età, tenuto conto della grave compromissione e del sicuro danno all’equilibrio
psico – fisico che determina in tale situazione l’allontanamento o la mancanza di uno dei
genitori. Per questa via anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione aveva
inizialmente adottato un orientamento restrittivo riconoscendo detti gravi motivi soltanto in
casi del tutto eccezionali da valutarsi caso per caso (si pensi al minore con problemi di
salute gravi o al minore con problematiche psichiche…), limitando però tale interpretazione
restrittiva ai soli casi di ingresso in Italia del genitore del minore che non ha i requisiti per
ottenere il rilascio di un titolo di soggiorno (in tal senso si erano espresse le Sezioni Unite
della Corte di Cassazione con la Sentenza n° 22216/2006) ed anche taluni Tribunali per i
Minorenni e Corti d’Appello Italiane avevano accolto tale orientamento restrittivo.
Succesivamente però si è sviluppato un orientamento maggiormente estensivo e
favorevole per il minore straniero che si trovi in Italia a salvaguardia del principio dell’unità
familiare costituzionalmente garantito. Così, infatti, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite,
a partire dalla Sentenza n° 21799/2010, ha stabilito che i gravi motivi ricorrono non
necessariamente in casi eccezionali strettamente connessi a problemi di salute del
minore, ma anche laddove siano rinvenibili eventi traumatici che trascendano il normale
disagio dovuto al rimpatrio, considerando sia il potenziale danno attuale che deriverebbe
al minore in seguito all’allontanamento forzato del genitore, sia effettuando una
valutazione prognostica. Tale intrpretazione che potremmo definire “estensiva” del
concetto di gravi motivi, secondo la Corte di Cassazione trova giustificazione nel fatto che
il legislatore, all’atto della formulazione dell’art. 31 comma 3° del Testo Unico
Immigrazione, ha volutamente utilizzato una formula a carattere generale ricomprendente
qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obbiettivamente grave che in
considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio
psico-fisico deriva, o è altamente probabile, deriverà al minore, dall’allontanamento del
familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui e’ cresciuto (in tal senso vi
è anche la recente pronuncia della Corte di Cassazione Civile Sezioni Unite n.
15750/2019).
Alla luce di quanto ora esposto, risulta evidente che l’art. 31 comma 3 del Testo Unico
Immigrazione è uno strumento che in concreto garantisce il rispetto dell’interesse
superiore del minore e la tutela rafforzata dei suoi diritti fondamentali, sia della personalità,
sia socio-economici, riconosciuti a vari livelli normativi, dalle convenzioni internazionali
(Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989), dal diritto
comunitario (Direttiva 2003/86/CE; Trattato di Lisbona, 2009) ed europeo (CEDU, 1950) e,
come si è detto, dalla Carta Costituzionale italiana (artt. 2, 3, 10, 29, 30, 31, 32).
Prima del rilascio al genitore del permesso di soggiorno per assistenza minore ex art.
31 comma 3 del Testo Unico Immigrazione, il Tribunale per i Minorenni, dopo aver ricevuto
la richiesta di detto titolo di soggiorno da parte di un genitore o di entrambi tramite ricorso,
svolge un’indagine approfondita in merito alla capacità genitoriale ed alle caratteristiche
personali e di reddito del genitore stesso.
Tale attività di indagine viene demandata dal Tribunale dei Minori ai Servizi Sociali del
Comune di residenza della famiglia del minore straniero; i Servizi Sociali provvederanno
all’ascolto dei genitori presenti sul territorio nazionale e dei minori capaci di discernimento
(preadolescenti e adolescenti), nonchè alla verifica in merito all’idoneità alloggiativa dei
genitori ed alla loro capacità economica volta anche al mantenimento del figlio minore.
Il Tribunale dei Minori provvede poi ad acquisire, tramite la Questura, le informazioni
sulla pendenza di denunce a carico dei genitori o di altre informazioni utili. Se necessario il
Tribunale dei Minori acquisisce anche informazioni dalle strutture scolastiche frequentate
dai minori e dai Servizi Sociali, nonchè dalle strutture sanitarie dove si trova
eventualmente in cura il minore.
Al termine di questa fase procedurale, in caso di provvedimento positivo del Trbunale
per i Minorenni, la Questura del luogo di residenza dei genitori, rilascerà il predetto titolo di
soggiorno per assistenza minore.
Tale permesso di soggiorno consente al suo titolare, sia esso genitore o parente più
prossimo del bambino, di svolgere attività lavorativa, tuttavia, essendo a tempo
determinato, in prossimità della sua scadenza richiede di essere rinnovato. Il rinnovo potrà
avvenire previa autorizzazione del competente Tribunale dei Minori, mediante la
presentazione di un nuovo ricorso depositato presso la cancelleria di detto Tribunale.
Il permesso di soggiorno ex art. 31 comma 3 Testo Unico Immigrazione è altresì
convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato.

Milano: il tribunale accoglie l’istanza. Un bimbo di solo un anno e mezzo rientra a Natale dai suoi genitori

Il Tribunale ha accettato l’istanza di riportare a casa un bambino di un solo anno e mezzo per le feste di Natale
Milano. (22 dicembre 2023) Giacomino (nome di fantasia) un bambino di un solo anno e mezzo potrà passare il Natale con i suoi cari. Il Tribunale per i minorenni di Milano ha emesso un decreto in cui ordina il rientro a casa del bambino per le feste natalizie.
La vicenda prende il via fin dalla nascita del bambino, a causa della superficialità e oseremmo dire cattiveria di alcuni psichiatri che, con le loro valutazioni e relazioni, hanno fatto sì che questo bambinello vivesse lontano dalla sua mamma e dal suo papà per più di un anno.
I genitori si sono quindi rivolti alla Professoressa Vincenza Palmieri e allo studio Miraglia per ottenere verità e giustizia per Giacomino e per la loro famiglia. Sebbene fosse stato chiaro fin da subito che il provvedimento di allontanamento era stato eccessivo, i genitori si sono messi in gioco per il bene del figlio seguendo scrupolosamente le indicazioni dei servizi e dei professionisti, tanto che gli stessi Servizi Sociali hanno evidenziato la loro progressiva e positiva evoluzione.
Alla luce di queste ed altre circostanze positive, come rilevato chiaramente nella perizia del consulente di parte, è apparso necessario il rientro di Giacomino presso i genitori. Il Tribunale ha quindi ritenuto necessario che rientrasse subito a casa per trascorrere le festività con la sua famiglia.
L’avvocato Miraglia oltre ad esprime una grandissima gioia per questo bambino e i suoi genitori non usa mezzi termini: “È una storia commovente che evidenzia l’importanza di una valutazione accurata nei casi di tutela minorile. Speriamo che esperienze simili portino a una riflessione sulla necessità di riforme nel sistema per garantire decisioni più ponderate e nel miglior interesse dei bambini e delle famiglie coinvolte. La nostra istanza è stata depositata in ottobre, in meno di due mesi il Tribunale ha richiesto le relazioni aggiornate e addirittura emesso un provvedimento, su questo non posso esimermi di fare un plauso al Tribunale per la celerità ed anche per l’umanità dimostrata nel permettere al bambino il rientro proprio il giorno di Natale.”
Secondo la Professoressa Vincenza Palmieri che segue la famiglia: “Sono contenta che proprio in questa felice ricorrenza anche Giacomino sia lì dove si trovava un altro bambinello duemila anni fa, cioè con la sua famiglia. Tuttavia il mio pensiero va a tutti quei bambini che anche quest’anno dovranno passare il Natale lontano dai loro cari.
In un libro ho scritto: «Soluzione alloggiativa, una grotta. Non una culla ma un giaciglio di paglia. Un bambino nudo, al freddo e al gelo, coperto solo da un panno bianco. Un bue ed un asino in camera da letto vicino al neonato. Di Giuseppe il Falegname dicono che abbia sposato sua madre Maria ma che non sia lui il vero padre. Quale sarebbe, oggi, il destino di Gesù Bambino?»
Ritengo che si possano aiutare le famiglie a casa loro come è successo a Betlemme e come è successo oggi a Milano. Credo che i miracoli possano diventare la normalità.”

Ci uniamo all’augurio di una riforma del sistema che riporti a casa tutti i bambini strappati e auspichiamo che ora questa famiglia e questo bambino possano avere una vita serena e felice.
FamiglieUnite.it