Bergamo: quindicenne lotta per restare a casa con sua mamma

Bergamo: quindicenne lotta per restare a casa con sua mamma

La mamma ha cercato di convincerlo ma lui è stato irremovibile. Ora la questione torna al Tribunale di Brescia.
Bergamo (6 marzo 2024). Oggi Massimo (nome di fantasia) rischiava di essere collocato in una comunità, lontano dalla sua famiglia e dai suoi amici e conoscenti; probabilmente, infatti, gli avrebbero anche cambiato scuola. Una decisione che Massimo non capiva e riteneva profondamente sbagliata.
Sebbene non comprendesse il provvedimento – dato che suo figlio era migliorato moltissimo, come confermato dalla relazione redatta dall’Istituto scolastico che frequenta – la mamma ha comunque cercato invano di convincerlo.
A quel punto, ha chiamato l’assistente sociale che ha parlato più volte con Massimo. Infine, l’assistente e una collega sono venute a casa e hanno avuto un colloquio riservato con lui, da sole, senza nessuna interferenza della mamma o della famiglia. Dopo aver constatato che Massimo si era informato leggendo le convenzioni internazionali sui diritti dei fanciulli, la Costituzione, le leggi italiane e le ultime sentenze della Corte di cassazione hanno probabilmente capito che la sua scelta era frutto di una decisione matura e meditata e lo hanno lasciato a casa.
Ora ci auguriamo che il Tribunale faccia chiarezza.
Secondo l’avvocato Miraglia, legale della mamma: “In qualità di avvocato di fiducia della famiglia di Massimo, intendo esprimere profondo disappunto e preoccupazione per le modalità con cui sono state gestite le questioni relative al collocamento coatto di Massimo.
Siamo particolarmente allarmati dalle modalità di interazione tra l’assistente sociale e Massimo, incluse le minacce inappropriatamente rivolte al ragazzo, riportate dallo stesso, e le implicazioni negative paventate nei confronti della genitorialità della madre. Tali azioni, insieme alla denigrazione subita dalla madre in presenza di altri operatori, non solo sono eticamente discutibili ma potrebbero configurare violazioni deontologiche e legali.
Riteniamo che la situazione meriti una revisione critica e approfondita da parte dell’autorità giudiziaria competente.”
In merito alla vicenda ci sono infatti alcuni aspetti questionabili che sollevano dei dubbi di incompetenza (o peggio?) che a nostro avviso meriterebbero di essere presi seriamente in considerazione.
In primis, come mai nonostante i grandi miglioramenti ottenuti da Massimo, i Servizi sociali hanno optato comunque per una decisione tanto grave come la sottrazione forzata dalla famiglia e l’istituzionalizzazione in comunità? Inoltre, ci risulta che l’assistente sociale che si occupa della famiglia sia una ragazzina senza esperienza; forse in un caso del genere sarebbe stato preferibile un professionista più esperto.
Ma non è tutto. La famiglia ha riferito dei fatti molto gravi.
Quando l’assistente sociale ha saputo che Massimo non voleva andare in comunità lo ha minacciato di chiamare i Carabinieri. Poi, avrebbe anche detto al ragazzo che se non andava in comunità la mamma avrebbe potuto avere delle ripercussioni e le avrebbero potuto sospendere la genitorialità. Quando Massimo le ha chiesto perché lo stesse minacciando, l’assistente non ha saputo replicare.
Un altro fatto gravissimo è stata la denigrazione della mamma da parte dell’assistente sociale in presenza della collega che non è intervenuta per correggerla. Mentre le due operatrici parlavano da sole con Massimo, l’assistente sociale ha affermato che doveva andare in comunità per “colpa” della mamma.
Ci auguriamo che Massimo possa trovare la giustizia e la serenità che merita.
FamiglieUnite.it