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Trento, una sentenza innovativa che restituisce una famiglia a due bambini

L’avvocato Francesco Miraglia, il CCDU e Gabriella Maffioletti di ADIANTUM, esprimono la loro grande soddisfazione per il primo affidamento intra-familiare giudiziale non richiesto dai servizi sociali.

Oggi infatti il Tribunale dei minorenni di Trento ha deciso di affidare due minori di 1 e 3 anni a una zia della madre, che è attualmente ospitata in una comunità di recupero. Da quanto ci è dato sapere, questa è la prima volta che il tribunale accetta questo tipo di collocamento non richiesto dai servizi sociali. Il provvedimento è immediatamente esecutivo e già domani i due bambini in tenera età potranno ritornare a godere dell’affetto di una famiglia e uscire dalla struttura residenziale.
Questa è una sentenza innovativa per il Trentino dato che è la prima volta, per quanto ne sappiamo, in cui si verifica questa eventualità, visto che solitamente questo tipo di affidamento viene proposto dai servizi sociali. In questo caso i servizi, sebbene i parenti avessero comunicato verbalmente la loro disponibilità, non li avevano informati della necessità di richiedere formalmente l’affido dei bambini e il tribunale si era convinto che non fossero interessati, decretando pertanto il collocamento in struttura dei bambini.
Interrogata in merito a ciò, l’assistente sociale incaricata del caso ha affermato che i parenti avrebbero dovuto attivarsi e che lei non aveva il compito di sollecitarli (…). Ci auguriamo che questo sia di monito per i parenti di famiglie che rischiano l’allontanamento dei figli affinché si attivino immediatamente per iscritto. Non è sufficiente comunicarlo verbalmente all’assistente sociale.
La storia di questi bambini era già salita all’onore delle cronache per le modalità di allontanamento, dato che il bambino di soli due anni era stato allontanato dalla madre mentre era in ospedale per partorire la seconda figlia. Un trauma gravissimo sia per la madre e la famiglia sia per il bambino, che non aveva potuto nemmeno salutare la madre. La vicenda aveva anche avuto dei risvolti politici con ben tre interrogazioni e una domanda di attualità presentate dal consigliere comunale Gabriella Maffioletti in merito alle modalità dell’allontanamento, alle scarse informazioni fornite alla famiglia e al mancato utilizzo delle risorse consistenti in una famiglia solida e unita. Questi due bambini hanno dovuto stare per più di un anno in una struttura: un trauma che probabilmente li segnerà per tutta la vita.
Ma questa vicenda è anche la dimostrazione di come un lavoro sinergico di rete può condurre a un esito positivo in situazioni anche apparentemente senza speranza. Grazie all’intervento dell’avvocato Miraglia, tutte le zie del bambino hanno ottemperato alle regolari procedure legali offrendosi di accogliere il bambino. I responsabili della comunità di San Patrignano, contattati da Antonella Flati dell’associazione Pronto Soccorso Famiglia, in stretta cooperazione con il consigliere Gabriella Maffioletti (che in pratica ha svolto le funzioni di assistente sociale) sono riusciti a convincere la mamma ad intraprendere un lavoro serio di recupero. Per non allontanare la mamma dal bambino e su suggerimento del SERT, la mamma è stata collocata presso la comunità di Camparta che ha svolto e sta svolgendo un ottimo lavoro. I famigliari invece, si sono impegnati a frequentare e frequentano regolarmente le riunioni del gruppo di San Patrignano per poter aiutare meglio la mamma nel suo percorso di recupero.
Così, il tribunale non solo ha decretato la revoca della sospensione della potestà genitoriale per la mamma, ma ha anche disposto che potrà vedere i bambini in visite non protette. Se pensiamo che solo un anno fa era stata avviata la procedura di adottabilità possiamo capire che in poco tempo sono stati fatti dei passi avanti prodigiosi. Il consigliere comunale Gabriella Maffioletti – che il 5 e 6 aprile prossimo sarà a Roma assieme ad altri professionisti come relatore del corso intensivo organizzato dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare – ha affermato: “Questa vicenda è un esempio lapalissiano di come, attraverso un lavoro sinergico con lo scopo condiviso di tutelare il diritto del minore a una famiglia, la possibilità di evitare o far cessare gli allontanamenti dalle famiglie sia reale e concreta, anche in casi molto complessi e delicati”.
Oltre al comportamento omissivo dell’assistente sociale, dobbiamo però muovere una critica ai servizi sociali e all’EMAF (Équipe multidisciplinare per l’affidamento familiare). Infatti i servizi (e in seguito l’equipe) erano stati incaricati di valutare questo affidamento intra-famigliare il 29 maggio 2012. Ora siamo a marzo e finalmente abbiamo una decisione definitiva: con un calendario intensivo di incontri e di visite questo si sarebbe potuto e dovuto fare in tempi molto più brevi. Non dimentichiamo che nel frattempo due minori in età tenerissima vivevano lontani dall’affetto di una famiglia in una struttura residenziale.

Fonte: Redazione
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IL CASO DELLE DUE BAMBINE DI TRENTO CHE VOGLIONO STARE CON LA LORO MAMMA APPRODA A CANALE 5

Il 17 gennaio alle ore 9 la mamma di Maria e Giulia insieme all’avvocato Francesco Miraglia saranno ospiti della trasmissione Mattino Cinque condotta da Paolo Del Debbio
 
Non sono cadute nel vuoto le parole di due bambine di Levico Terme che, per Natale, chiedevano al Giudice di Trento di poter restare più tempo accanto alla loro mamma. Non almeno per i giornali, le tv e le radio che hanno ripreso la notizia e che hanno voluto farsi portavoce del loro messaggio.
Una storia che ha toccato il cuore di molti e che anche Mediaset ha deciso di raccontare ai suoi telespettatori all’interno dl programma Mattino Cinque. Sarà infatti Paolo Del Debbio, giornalista e conduttore conosciuto anche per la trasmissione Quinta Colonna, ad intervistare negli studi di Cologno Monzese, la madre di Maria e Giulia e l’avvocato Francesco Miraglia del Foro di Modena, a cui è stato affidata la causa.
La vicenda ha inizio nel marzo del 2010 quando le due minorenni vengono affidate ai servizi sociali della “Comunità Valsugana e Tesino” e “collocate” presso la residenza del padre. La madre ogni settimana può vederle per alcune ore. Il tutto avviene regolarmente fino allo scorso 14 dicembre, quando la piccola Maria, 12 anni, chiede con insistenza alla mamma di poter stare a casa con lei. Quest’ultima espone la questione ai Servizi sociali che decidono di concederle quanto richiesto, malgrado l’assistente di riferimento, R.A. sia in ferie. Ma dopo poche ore gli stessi Servizi sociali decidono di sospendere le telefonate e gli incontri tra la madre e le figlie. Una situazione delicata che genera sofferenza tanto da spingere Maria, già qualche giorno prima, a scrivere una lettera direttamente al Giudice di Trento. Lettera nella quale si sottolineava: “…Visto che dopo tre anni le cose sono cambiate ben poco e non nella maniera desiderata vorrei chiederle se per Santa Lucia o per Natale al posto dei regali ci potrebbe portare un aumento delle ore con la mamma e di poter stare metà tempo con la mamma e metà con il papà. Speriamo che accolga la nostra richiesta anche perché non abbiamo mai capito il motivo del poco tempo che possiamo passare con la mamma. Con lei ci divertiamo tanto e facciamo belle attività (découpage, lavoretti…)”.
La situazione si complica lo stesso giorno quando R.A. rientrata dalle ferie parla al telefono con Maria minacciandola, sembrerebbe, con tali parole: “O torni a casa con il papà o io devo prendere la decisione di metterti in collegio. Il giudice sapendo questa cosa fa del male a te, alla Giulia e alla mamma… Allora vuoi andare in un istituto che sarebbe un luogo alternativo al carcere e non vedere più la mamma…” oltre a offendere la madre stessa. Telefonata che viene comunque messa in viva voce e sentita anche dalle Forze dell’Ordine presenti e che ha spinto la madre a denunciare nelle sedi opportune l’assistente sociale R.A.
La decisione di partecipare alla trasmissione televisiva – spiega l’avvocato Francesco Miraglia – nasce dal desiderio di denunciare pubblicamente una situazione che non può continuare ancora a lungo e che in qualche modo rispecchia ciò che succede in molte altre famiglie all’interno del nostro Paese. Processi, procedimenti, denunce che spesso cadono nel vuoto o che vengono risolti in tempi lunghissimi a discapito, va sottolineato, soprattutto dei bambini e di conseguenza anche dell’intero dell’apparato familiare”.
 
 
 
 

 

“Come regalo di Natale vogliamo stare più tempo con la mamma”.

Trento, 24 dicembre 2012. – di Nadia Milliery Ognibene
“Come regalo di Natale vogliamo stare più tempo con la mamma”. Questa la richiesta al Giudice di due bambine di Trento affidate ai Servizi sociali. “Non abbiamo mai capito il motivo del poco tempo che possiamo passare con la mamma.” Anche le parole di un minore hanno il loro peso, andrebbero comprese e ascoltate. Non è così, ormai, da tempo, per due bambine di Levico Terme, in provincia di Trento “contese” dai genitori e che, da marzo 2010, sono state affidate ai Servizi sociali della “Comunità Valsugana e Tesino” e “collocate” presso la residenza del padre.
Una situazione che con il tempo è andata peggiorando e che lo scorso 14 dicembre ha portato la madre, C.D.,a depositare una querela presso la Procura di Trento, nei confronti di R.A., l’assistente sociale che segue il loro caso, per minacce, violenza privata e diffamazione, dopo che una delle figlie, che chiameremo Maria, di 12 anni, si era rifiutata di tornare a casa dal padre.
Ma veniamo ai fatti. Lo scorso 7 dicembre, Maria chiede alla madre di poter rimanere a casa con lei. A nulla servono le insistenze dei genitori stessi e dell’educatrice presente per farle cambiare idea; così la bambina, in accordo con i servizi sociali, riamane a casa della madre.
Dopo 3 giorni, la donna si presenta presso i Servizi sociali ma l’assistente sociale di riferimento, R.A. è in ferie. La sostituta stabilisce che malgrado l’accaduto, tutto sia regolare e che entrambe le bambine possono continuare ad incontrare la madre, per 7 ore a settimana, come erano solite fare. Ma dopo poche ore, arriva, inaspettato, il contrordine. R.A., infatti, decide non solo di sospendere gli incontri ma anche le telefonate tra la madre e le figlie.
Una decisione non condivisa dalla piccola Maria che si impunta e vuole essere ascoltata. Richiesta, che pochi giorni prima aveva espresso anche per scritto, mandando una lettera al Giudice che segue la vicenda, e nella quale diceva: “Caro Signor Giudice, è da tanto tempo che diciamo a papà, mamma, psicologi, assistenti sociali, educatori…che vorremmo stare più tempo con la mamma. Così visto che dopo tre anni le cose sono cambiate ben poco e non nella maniera desiderata vorrei chiederle se per Santa Lucia o per Natale al posto dei regali ci potrebbe portare un aumento delle ore con la mamma e di poter stare metà tempo con la mamma e metà con il papà. Speriamo che accolga la nostra richiesta anche perché non abbiamo mai capito il motivo del poco tempo che possiamo passare con la mamma. Con lei ci divertiamo tanto e facciamo belle attività (découpage, lavoretti…)”.
Parole cadute nel vuoto ma che Maria ha voluto ribadire il 10 settembre quando, seguendo le istruzioni dei Servizi sociali, il padre è andato a riprenderla a casa della mamma, con metodi, a detta di quest’ultima “autoritari e ricattatori” e che, pertanto, hanno condotto D.C. a chiamare le forze dell’ordine,”per cercare di risolvere la situazione” visto che Maria, che già in mattinata aveva avuto un leggero malore, si stava nuovamente sentendo male.
Alla presenza delle Autorità, davanti al padre e alla madre, Maria ha chiamato l’assistente sociale R.A che in quel frangente, inconsapevole che il telefono fosse in viva voce, l’avrebbe minacciata con le seguenti parole: “O torni a casa con il papà o io devo prendere la decisione di metterti in collegio. Il giudice sapendo questa cosa fa del male a te, alla Giulia e alla mamma. …Allora vuoi andare in un istituto che sarebbe un luogo alternativo al carcere e non vedere più la mamma…” oltre a offendere la madre stessa.
“Invece di aiutare una bambina che chiede semplicemente di essere ascoltata – sottolinea il legale della madre, l’avvocato Francesco Miraglia del Foro di Modena – assistiamo increduli ad una presa di posizione di un adulto, in questo caso l’assistente sociale, che invece di aiutare questa bambina, la minaccia, la mette in difficoltà, non svolgendo quindi il compito che invece dovrebbe avere cioè quello di aiutarla, sostenerla. E’ evidente che Maria richiedeva semplicemente di vivere in un clima sereno come d’altronde ribadiva nella lettera inviata al giudice nella quale affermava: “Ci manca tanto la mamma anche se stiamo bene con il papà, ci piacerebbe avere dei genitori normali come tutti senza dover stare sempre negli orari. Ogni tanto ci arrabbiamo con l’assistente sociale, lei, perché non ci sembra di essere ascoltate. Per questi motivi vorremmo chiedere di incontrarla e di poter parlarne a voce. Grazie, per aver letto questa lettera a presto””.

Vuole la mamma in dono

Trento. “Caro Signor Giudice vorrei chiederle per Santa Lucia o per Natale, al posto dei regali, ci potrebbe portare un aumento delle ore con la mamma  e di poter stare metà tempo con la mmma e metà con il papa. Ci piacerebbe avere dei giorni normali come tutti senza dover stare sempre negli orari”-Inizia così la lettera che una bambina ha rivolto al giudice per chiedere di essere ascolatatadal Magistrato.La storia di  Maria (nome di fantasia), una bambina di dodici anni, al termine della visita con la mamma ha “imposto” il suo diritto di essere ascoltata, il suo diritto a una vera bigenitorialità e il suo diritto a una normale vita familiare, rifiutandosi di interrompere la visita e rimanendo a dormire dalla mamma, nonostante il parere contrario dell’educatrice. La sorellina più piccola invece ha deciso di andare con il papà.
La Vicenda di Maria e di sua sorella di circa 8 anni, nasce 3 anni fa quando il giudice della separazione affidava ad una psichiatra il compito di valutare le capacità genitoriali della loro madre. Ancora una volta le valutazioni soggettive di una consulenza hanno deciso di fatto che Maria e sua sorella incontrassero la loro madre 6 ore alla settimana in presenza di un educatore, in quanto non affidabile, priva delle capacità genitoriali e addirittura “pericolosa” per le sue stesse figlie. Varie sono state le richieste al Giudice di “normalizzare” gli incontri tra madre e figlia ma tutto è rimasto senza riscontro in nome di una presunta patologia della madre e di quanto volta in volta il servizio sociale referente relazionava.
 Inoltre recentemente si è anche denunciato un conflitto di interesse tra la consulente d’ufficio e l’avvocato del padre di Maria in quanto entrambi componenti della stessa associazione a tutela dei minori. Nonostante tutto queste bambine non possono incontrare liberamente la loro madre.
 Maria e la sorella più piccola manifestavano da anni il desiderio di una vera bigenitorialità e di avere dei rapporti familiari normali come tutti i loro amici. Ma solo recentemente Maria aveva maturato la decisione di esigere i propri diritti grazie alle informazioni ricevute sul caso di Cittadella nel corso della trasmissione Pomeriggio Cinque condotta da Barbara D’Urso. Si parla tanto male della televisione generalista ma per fortuna ci sono ancora dei programmi che fanno buona informazione. Per di più, proprio in quel periodo la scuola frequentata Maria ha iniziato un progetto di “maturazione” in cui gli studenti dovevano scoprire e prendersi la responsabilità di realizzare concretamente i loro desideri più intimi e sinceri. Dobbiamo quindi dare merito alla scuola, spesso ingiustamente criticata, per il suo continuo lavoro di educazione e formazione dei cittadini di domani.
 Maria ha quindi iniziato ad informarsi consultando le leggi in materia di affidamento, e ha scoperto che secondo la convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, un minore ha il diritto di essere ascoltato. Ha quindi manifestato la sua intenzione allo psicologo che le ha promesso che avrebbe sentito il giudice, e in seguito ha persino scritto una lettera al giudice manifestandogli questo suo desiderio. Ed è proprio qui che ci ha dimostrato come spesso i bambini sono più intelligenti e maturi degli adulti. Nella sua lettera, scritta assieme all’educatrice e alla sorellina, ha chiesto la vera applicazione dell’affidamento condiviso. “Caro signor Giudice, […] vorrei chiederle se per Santa Lucia o per Natale, al posto dei regali, ci potrebbe portare un aumento delle ore con la mamma e di poter stare metà tempo con la mamma e metà con il papà. […] Ci piacerebbe avere dei giorni normali come tutti senza dover stare sempre negli orari.”
 Purtroppo in una giustizia minorile non a misura di bambino, né il giudice né l’assistente sociale hanno chiamato le bambine per ascoltarle. A questo punto Maria ha deciso di prendere in mano la situazione e di “imporre” la sua decisione. Alla fine l’educatrice, di fronte alla maturità e alla determinazione dimostrate da Maria, ha accettato di lasciarla dalla mamma sebbene il decreto (di almeno 2 anni fa) le avrebbe imposto di comportarsi diversamente. Finalmente una decisione sensata, diremmo noi.
 L’avvocato della madre Francesco Miraglia del Foro di Modena si augura, a questo punto, che il giudice e i servizi sociali prendano atto della reale volontà del minore e adeguino velocemente le loro decisioni per il reale benessere del minore. E che facciano un vero regale di Natale alle bambine permettendo loro di vivere una vita normale con entrambi i genitori. Prosegue Miraglia: “I giudici spesso non hanno voglia di sentire i bambini ma ancora di più non sono, né loro né i CTU preparati ad ascoltare i minori, i quali rischiano di mettere nel sacco tutte le teorie, tutte le diagnosi e tutte le perizie fatte sui genitori e sui bambini stessi

 
.”
 

Miraglia denuncia 'In comunità circolano droga e alcol'

Trento, 30 luglio 2012.  – Nella comunità in cui sono ospitati anche giovani trentini circolano droga e alcol e gli educatori portano i ragazzi a comprare la droga, per questo, oggi l’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena ha presentato due esposti alla procura di Chieti per le gravi irregolarità segnalate da alcuni adolescenti che erano stati ospitati presso la cooperativa Lilium, un centro di cura per minori con gravi disturbi psichiatrici di S. Giovanni Teatino, Chieti, che ospita anche minori trentini.
Secondo la denuncia dell’avvocato le segnalazioni ricevute in merito alla circolazione di droghe e alcool nella comunità sono state purtroppo confermate da un ragazzo di Padova. Nella relazione del dott. Paolo Cioni si afferma che il ragazzo ha dei ricordi e dei vissuti estremamente negativi sulla comunità terapeutica di Chieti: “In particolare riferisce che «circolavano droga e alcool. Gli educatori ci portavano a comprarla al Parco Florida, vicino a Pescara». In particolare cita un educatore […] che sarebbe stato il referente di questo meccanismo.”
Recentemente la comunità era salita all’onore delle cronache per il caso di una ragazza di Trento trattenuta in struttura contro la sua volontà nonostante avesse subito un assalto sessuale da parte di un infermiere della struttura. La vicenda, assieme ad altre segnalazioni, era stata presentata alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza presieduta dall’onorevole Alessandra Mussolini. In seguito la ragazza era stata liberata, ma la comunità invece di ammettere le proprie responsabilità aveva diffuso una nota giustificativa (pubblicata anche su Internet) che i genitori avevano poi pubblicamente smentito. Ma in questa nota la comunità stessa ammetteva di non aver sporto una formale denuncia affermando di “aver svolto repentinamente indagini interne, per appurare quello che realmente era accaduto, coinvolgendo anche i carabinieri e invitando la ragazza stessa a sporgere denuncia, cosa che, però, la minore si è rifiutata di fare”.
E purtroppo queste non sono le uniche irregolarità segnalate sulla struttura di Chieti. La minore stessa e altri ospiti hanno scritto di ragazzi e ragazze legati ai letti e chiusi in stanza per ore, di una prassi secondo la quale nei primi tre mesi si vieta agli ospiti qualsiasi contatto con l’esterno, di problemi di sicurezza con ragazzi che si scambiano gli psicofarmaci, di condizioni insopportabili che spingono i ragazzi a tentare la fuga con parecchie fughe occorse anche nel periodo di permanenza della minore (lei stessa è fuggita ed è stata ripresa più volte) e di droghe circolanti nella struttura. Queste segnalazioni sono state confermate con messaggi email, commenti su Facebook e dichiarazioni scritte raccolte dalla mamma della minore, dal Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani e dall’associazione Pronto Soccorso Famiglia.
La Lilium non è la prima comunità a finire nell’occhio del ciclone. Ricordiamo la comunità alloggio per minori «Dina Sergiacomi» di Montalto nelle Marche, la comunità «Cavanà» di Pellegrino Parmense, la casa famiglia «Il Forteto» in Toscana. Il denominatore comune di queste comunità, oltre alla “impostazione manicomiale”, è la mancanza di reali controlli esterni e indipendenti che impediscano queste violazioni. Purtroppo ci giungono segnalazioni di madri preoccupate perché una specifica psichiatra del centro di neuropsichiatria infantile di Trento (che recentemente è stata segnalata all’ordine) sta premendo per mandare i loro figli in questa comunità e persino dei ragazzi che sono fuggiti dalla comunità stanno ricevendo pressioni per tornarci. Il proverbio dice: “Quando il gatto non c’è i topi ballano”. Riteniamo sia indispensabile che l’assessorato competente investighi approfonditamente per verificare le accuse e se necessario riportare i nostri ragazzi a casa per impedire che subiscano altri danni.
 

Trento, 8 Giugno. Convegno: la crisi economica colpisce le famiglie, ma non le case famiglia

Trento 25maggio 2012
Trento. Il CCDU, il PSF (Pronto Soccorso Famiglie) e ADIANTUM hanno organizzato il convegno dal tema “Ridateci i nostri figli!” che si terrà venerdì 8 giugno alle ore 16.30 presso la Sala di Rappresentanza del Palazzo della Regione a Trento. “La crisi economica colpisce le famiglie ma non le case famiglia. Perché psichiatri, psicologi e assistenti sociali hanno il potere di portar via i nostri figli?”: è questo il leit-motiv dominante dell’evento, che tenterà di spiegare (e informare) gli intervenuti e la cirradinanza sulle problematiche del sistema e sulle possibili soluzioni.

Durante i lavori grande enfasi verrà data ai cambiamenti in atto. Primo tra tutti, quello che scaturisce dal Senato, che il 22 maggio 2012 ha approvato all’unanimità la richiesta di dichiarazione d’urgenzaper l’esame congiunto in Commissione giustizia dei DDL vertenti su materie relative all’istituzione di sezioni specializzate per le controversie in materia di persone e di famiglia e di soppressione dei tribunali per i minorenni.
Il convegno dell’8 Giugno trae spunto da un sistema giudiziario – per i più di chiaro stampo autoritario e fascista – che, negli ultimi due anni, ha messo in luce tutti i suoi problemi di arbitrarietà, incompetenza e anti-democraticità. Molti i cittadini che partecipano alle manifestazioni e segnalano nuovi casi, tantissimi quelli che vorrebbero cambiare questo stato di cose, e finalmente pare che anche il Senato si sia accorto della scandalo italiano delle case famiglia, dove migliaia di bambini soffrono lontani forzatamente dai propri affetti, e che è necessaria una riforma urgente.
Il Trentino da anni, grazie al lavoro di associazioni locali ben ramificate e all’attivismo di alcuni amministratori, non solo non è immune a questa tragedia, ma è secondo solo alla Liguria per percentuale di bambini sottratti alle famiglie, mentre si spendono più di 10 milioni e mezzo di euro per “tutelare” i bambini. A differenza del resto d’Italia, dove il dibattito sui cambiamenti è comunque presente nelle Istituzioni, il “sistema trentino” si oppone a qualsiasi tentativo di riforma. La mozione di riforma dei servizi sociali del consigliere comunale Gabriella Maffioletti non è stata approvata. Lo stesso per le misure di sostegno ai genitori separati. Anche i documenti e DDL presentati da Bruno Firmani e Pino Morandini sono stati bocciati. Nella nostra regione, pochi giorni fa, un bambino di tre anni è stato sottratto alla famiglia mentre la mamma partoriva un’altra bambina, sebbene avesse una forte rete famigliare di sostegno. Piange disperato in una casa famiglia e nessuno lo ascolta. Ci sono decine e decine di segnalazioni di bambini sottratti che vorrebbero tornare in famiglia e non vengono ascoltati. Le recenti fughe di bambini dalla comunità di Bedollo e dal villaggio SOS sono solo la punta dell’iceberg.
Finché non verrà cambiata la legge, nessuna famiglia potrà dirsi al sicuro in questo sistema malato. Gli organizzatori del convegno hanno messo a disposizione dei partecipanti un documento con informazioni utili su come difendere i propri figli proprio dal sistema di cui si parlerà. L’evento sarà moderato da Silvio De Fanti, Vice Presidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, mentre i relatori saranno l’On. Antonio Guidi, Specialista in neurologia e neuropsichiatria infantile e medico neurologo, l’avv. Francesco Miraglia, Avvocato del foro di Modena e coautore del libro “Ridateci i nostri figli”, Antonella Flati, Presidente dell’Associazione Pronto Soccorso Famiglie e Gabriella Maffioletti, Consigliere del Comune di Trento e delegata Adiantum per il Trentino.

Assistenti sociali solerti solo quando devono togliere i figli?

La città di Trento assurge nuovamente alle cronache per l’operato del servizio sociale così tanto elogiato dall’assessore Ugo Rossi e dall’assessore Plotegher, così come  l’operato delle case famiglia a cui questo servizio si rivolge.
Mamma Nicole ha il problema dell’uso di stupefacenti, ed avendo necessità di essere seguita da una struttura idonea viene inviata da una assistente del servizio sociale presso la casa famiglia Padre Angelo di Trento insieme al figlioletto all’epoca di sei mesi. Qui dovrebbe essere seguita in primis dall’ente inviante e dalla struttura ospitante che risulterebbe idonea così come da statuto alla presa in carico di soggetti critici ed ai figli di questi. Succede che il tempo passa, per l’esattezza quasi due anni dove mamma Nicole viene parcheggiata in questa struttura. Perché diciamo parcheggiata? Perché nonostante necessiti essere seguita con adeguate terapie volte alla disintossicazione ed a un corretto inserimento nella società civile, viene invece abbandonata da chi ha proposto l’inserimento nella struttura di cui sopra e dagli stessi operatori della casa famiglia che non si adoperano per un percorso riabilitativo, ma dimenticano Nicole che continua nel suo percorso trasgressivo a fare uso saltuariamente di sostanze acquistate in paese.
E succede che mamma Nicole rimanendo incinta nuovamente partorisce pochi giorni fa, ma subito dopo il parto viene a sapere dalla solerte assistente sociale che mentre partoriva il suo primo figlio è stato trasferito in una nuova struttura con motivazioni ancora da accertare. Sorge spontaneo a questo punto domandarsi come mai si sia dovuto ricorrere solo in quel momento e così proditoriamente, stante le condizioni di una madre che ha appena partorito a questa soluzione quando lo stato di Nicole era conosciuto da sempre e nulla era stato attivato a suo sostegno.
Antonella Flati, presidente dell’associazione Pronto Soccorso Famiglia, in concerto con il consigliere comunale di Trento Gabriella Maffioletti, dichiara di voler avviare in merito una interrogazione alla Commissione Parlamentare per i Minori in cui chiederà l’immediata rimozione dell’assistente sociale che, oltre ad aver chiesto  l’onerosa collocazione in istituto di mamma Nicole, ha ignorato le sue reali necessità di cura e riabilitative non attivando i percorsi del caso.
Giova infine precisare che mamma Nicole durante i fine settimana si appoggiava alla propria famiglia ritenuta idonea dal servizio a svolgere un ruolo di supporto per ella, attorniata quindi dall’affetto di genitori e fratelli dove questa trascorreva il fine settimana e pertanto una importante risorsa per il collocamento almeno del minore che potrebbe essere seguito così da familiari piuttosto che essere rinchiuso in una nuova comunità sterile degli affetti di cui un bambino sicuramente necessita. Del caso se ne occuperà l’ormai noto Avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena, presidente del comitato scientifico dell’associazione P.S.F. che si occuperà del risvolto legale

678 famiglie In Trentino private dei figli

«Ridateci i nostri figli!»: è l’appello di una cinquantina di persone, per lo più genitori di bambini allontanati dalle famiglie su decisione dei giudici, che si sono trovate in mattinata davanti al tribunale dei minori di Bologna. Una protesta silenziosa – a cui ha preso parte anche la consigliere comunale di Trento Gabriella Maffioletti –  contro giudici, psicologi, psichiatri, assistenti sociali che «hanno il potere di portar via i tuoi bambini», si legge su un volantino.
 
In particolare, il Comitato dei cittadini per i diritti umani chiede un’ispezione ministeriale nel tribunale bolognese, che tra l’altro ha gestito il caso di Anna Giulia, la bimba di sei anni tolta ai genitori reggiani Massimiliano Camparini e Gilda Fontana dopo che avevano sottratto la piccola in due diverse occasioni nel 2010.
Nel pomeriggio sempre, a Bologna,si è tenuto un convegno con alcuni esperti del settore, che trae spunto dal libro «Ridateci i nostri figli» a cura dell’avvocato Francesco Miraglia, difensore anche dei genitori di Anna Giulia. Tra i relatori, e prima davanti al tribunale bolognese, anche la trentina Gabriella Maffioletti. A luglio aveva presentato in Comune a Trento un ordine del giorno per chiedere la rivisitazione del ruolo dei servizi sociali: «A Trento non è passato per due voti ma è stato ripreso e approvato dai consigli comunali di Imola (Bologna) e Roma», ha detto ricordando poi che nella provincia di Trento ci sarebbero 678 famiglie “private” forzatamente dei propri figli e che, secondo dati del marzo 2011, il Trentino sarebbe  la seconda regione, dopo la Liguria, per numero di minori tolti e affidati a strutture di accoglienza